C’era una volta la sterlina
Molto spesso le fiabe dopo il celebre “C’era una volta…” raccontano di un padre che aveva tre figli ai quali voleva lasciare equamente le sue ricchezze. A meno che non capitasse come nella favola “Il drago delle sette teste” raccolta a Montale Pistoiese in cui ai tre figli tocca un cavallo un cane e una spada a testa, dl solito la situazione era piuttosto bislacca.
Capitava, ad esempio, che al primogenito toccasse un cavallo al secondo un cane e al terzo soltanto un gatto, senza neppure i famosi stivali. Del tutto impossibile sarebbe stato per il padre equanime suddividere con il sistema decimale un patrimonio di 1000 fiorini d’oro.
L’impresa sarebbe riuscita facilmente, invece, ad un padre inglese che avesse dovuto dividere fra i tre figli mille Sterline d’oro. Infatti a ciascuno avrebbe potuto dare esattamente 333 sterline due scellini e 4 pence, a patto che la suddivisione fosse avvenuta prima del 15 febbraio 1971, quando anche nel regno di Elisabetta II la sterlina fu divisa banalmente in 100 centesimi, con la costernazione di tanti amanti delle favole e dei sistemi assurdi, me compreso.
Come tanti anglofili non di primo pelo ricorderanno, infatti, prima di quella data funesta la sterlina in cartamoneta era divisa in 20 scellini d’argento ciascuno dei quali era diviso in 12 pences di rame. In realtà però, oltre ai grossi e pesanti penny di rame, esistevano i più piccoli throppen di ottone del valore di tre pences, i sixpence d’argento del valore di sei pence o mezzo scellino, gli scellini del valore di un ventesimo di sterlina pari a dodici pences, le mezze corone del valore di due scellini e sei pences, le corone del valore di cinque scellini in monete d’argento.
C’erano poi anche le virtuali ghinee, del valore di ventun scellini, inesistenti, ma con le quali s’indicava il prezzo dei vestiti di sartoria tagliati su misura in Bond street, mentre il prezzo degli abiti già confezionati, venduti da Harrods, era indicato banalmente in sterline (pound).
Il gelsomino
Il mio affetto non va tanto ai fiori meravigliosi quanto ai tigli fioriti che hanno sempre significato per me la fine delle scuole e l’inizio delle vacanze, e soprattutto ai miei fratelli pioppi.
Quando ero bambino, mio padre piantò un filare di pioppi canadesi (ibrido 714) lungo un canale che costituiva il confine orientale del nostro podere e io li guardavo crescere, anno dopo anno, come fossero dei bambini che stavano sviluppandosi insieme a me. Diventarono alberi meravigliosi che per qualche anno riuscivo a stringere fra le mani, poi ad abbracciare fin quando diventarono troppo grandi per le mie braccia che si allungavano, ma non abbastanza.
Pioppi
L’eroica fioritura del decrepito gelsomino a spalliera sul balcone non ha più la forza di rallegrare la casa con il suo profumo all’arrivo della stagione primaverile, quando si possono lasciare aperte le finestre, ma per fortuna, lungo il percorso delle mie passeggiate pomeridiane prosperano ancora meravigliose siepi lussureggianti di gelsomino che s’imbiancano di fiori.
Al sulfaner
A cosa sia dovuta la quasi totale scomparsa della pubblicità vocale itinerante credo sia difficile da dire in due parole. Resta il fatto che ormai sentire passare auto attrezzate con altoparlanti che reclamizzano una prodotto o un evento o un luogo di ritrovo è ormai una autentica rarità anche in posti di mare dove la gente si rifugia d’estate per sfuggire la calura delle città ormai tropicalizzate e soffocate dal traffico.
Ricordo che da bambino, nell’immediato dopoguerra quando nella città semidistrutta si abitava, adattandosi , nelle case rimaste in piedi, la mattina venivo svegliato dal passaggio del solfanaio.
Condividevamo, in subaffitto, con due anziani fratelli, parte di un appartamento principesco che si affacciava su via Guerrazzi quasi di fronte a palazzo Carrati, sede della seicentesca Accademia Filarmonica nella quale anche il giovane Mozart ottenne nel 1770 l’ambita patente di Maestro compositore.
Io dormivo in una stanza che era stata uno studiolo dalle pareti ricoperte di damasco dorato che si affacciava sulla strada al primo piano dove i rumori del portico e della strada giungevano ben distinti.
Veniva religiosamente adoperato dalla sola “resdora” e solo per questo scopo; spesso era custodito in una fodera su misura cucita in casa e noi bambini non dovevamo neanche guardarla.
L’effemeride
L’effemeride
- Opossum o nonpossum, Tu che dici?
- Ha l’aria di essere un dilemma caldo e peloso quello che ti attanaglia. Decisamente fuori stagione
- Tu sei fra quelli che rimpiangono le mezze stagioni?
- No, io sono per la mono stagione, quella bella.
- Non ti manca la varietà?
- No, anche per l’età ne vorrei una sola: la giovinezza.
- Vorresti l’eterna giovinezza ?
- No, l’eterno, l’infinito, l’assoluto sono fuori dalla mia misura.
- E qual è la tua misura?
- Un Tot, mi va bene.
- Allora essere una effemeride sarebbe perfetto per te: nascere in una bella alba luminosa, volare con due splendide ali nuove di fiore in fiore sotto un sole glorioso fino al tramonto e quando sopravviene la notte salutare tutti.
- Sarebbe perfetto.
Le cicale
Come i versi di un’encomiastica poesia
Friniscono le cicale sopra casa mia
Il loro verso querulo ed insistente
s’insinua fra le pieghe della mente
per sfuggirle bisogna andare via
Lo scoiattolo grigio
Aquiloni eolici
Leggo in un interessante articolo che diverse compagnie in varie parti del mondo stanno studiando il modo di sfruttare il vento per la produzione di energia elettrica in modo meno costoso, più pulito e con minore impatto sul paesaggio di quanto non facciano le pale eoliche che ormai sono diffuse anche qui da noi in italia.
La prima volta che vidi un vastissimo parco eolico venivamo in macchina da Las Vegas e ci dirigevamo verso San Francisco dopo avere attraversato la Valle della morte; il grande parco nazionale a cavallo fra il Nevada e la California. Come suggerisce il nome, la Death Valley è un deserto impressionante e ritrovarsi, quasi all’improvviso, fra colline verdeggianti coperte di bianche pale eoliche fu una sorpresa piacevole e queste bianche torri con le loro pale in lento movimento mi sembrarono belle e non mi provocarono alcuna ostilità. Erano quasi un ornamento a quelle deserte colline verdi del tutto prive di un carattere storico o paesaggistico da preservare.
Sicuramente il discorso cambia quando, per fini speculativi, le torri eoliche compromettono paesaggi fortemente antropizzati da millenni, come accade in Puglia o in Sicilia e, in misura minore, anche qui sul nostro Appennino Tosco Emiliano.
Sicuramente se si riuscisse a produrre energia elettrica con aquiloni o droni parcheggiati a centinaia di metri da terra l’impatto paesaggistico sarebbe del tutto neutralizzato ed è proprio quello che stanno cercando di fare diverse compagnie dislocate in varie parti del mondo.
Si tratta di manufatti hi-tech molto costosi che non ricordano certo gli aquiloni colorati che da bambini facevamo con canne palustri e carta velina, così fragili e imperfetti che raramente duravano più di qualche ora di gioco.
C’è da augurarsi che questi tentativi in corso abbiano successo e producano energia elettrica pulita senza deturpare il paesaggio, in attesa che la fusione nucleare ci affranchi in modo definitivo dalla dipendenza da combustibili fossili e da altre fonti alternative costose e problematiche.
La grandine
La tempesta
Una tempesta di eccezionale vigore
Con un minaccioso inaudito fragore
Si è abbattuta sulla città bene ordinata
A tali eventi estranea e impreparata
Generando un costernato generale stupore
La bici folletto
Ora, dopo una cinquantina d’anni, mi sembra che siamo abbastanza vicini, finalmente, alla realizzazione di una macchina dalla quale ti fai scarrozzare e, giunto a destinazione, le dici “Vai a parcheggiare e vieni a prendermi qui alle 6.”
Superano però anche i miei più spericolati sogni le nuove biciclette che inventori sparsi in varie parti del mondo stanno preparando con studi convergenti .
A quanto leggo su un interessante articolo del Sole 24 Ore, UBER, la controversa compagnia odiata dai tassisti, che ora è molto interessata anche alla micro mobilità urbana, cerca proprio di trovare la soluzione per offrire biciclette che stanno in equilibrio senza un umano pedalatore sulla sella.
Questa bici-folletto dovrebbero essere in grado di raggiungere chi ne ha bisogno e l’ha invocata con un colpo di telefonino. Raggiunto il cliente, cesserebbe di muoversi in autonomia lasciando al suo temporaneo padrone il piacere di guidarla con pedalata assistita fino al raggiungimento della metà.
A quel punto la super-bici concluderebbe il suo compito ritornando in piena e solitaria autonomia nel parcheggio attrezzato in cui ricaricare le batterie e attendere la successiva chiamata.
Meglio di un tappeto volante evocato dal genio della lampada.
Non so se vedrò mai una di queste bici e avrò l’opportunità di servirmene in alternativa temporanea alla mia WANDER azzurra che cavalco da più di sessant’anni.
Certamente sarebbe stata molto utile a Marino, un ubriacone che frequentava un’osteria vicina alla casa dove passavo parte delle vacanze estive. All’ora di cena, prima di rincasare, arrivava in bici dal lavoro e si fermava a fare il pieno di lambrusco all’osteria, poi usciva e, per il crudele spasso di noi bambini della contrada che l’aspettavamo al varco, tentava di risalire sulla bicicletta offrendo uno spettacolo penoso ed esilarante: dopo una serie di sbandate e serpentine non di rado finiva a terra mentre la bici, sobria e paziente, continuava per qualche metro in autonomia prima di fermarsi, a sua volta, ribaltata sui ciottoli della strada, in attesa di essere riaccompagnata a mano nel cortile di casa.