Pipae, piparum, pipis (seconda parte)

British museum library

Due pipe uguali di radica scura rusticata con il cannello di legno lungo ed un corto bocchino le portai a casa da Londra l’anno della mia laurea. 
Non erano pipe inglesi di alto lignaggio, ma proporzionate al mio modesto budget e adatte ad un principiante che volesse passare dalle sigarette alla pipa senza bruciarsi la lingua. 
Una delle due, infatti era destinata a mio padre che speravo di convincere ad abbandonare le sigarette e a farmi compagnia fumando la pipa insieme durante le lunghe chiacchierate che facevamo in casa o passeggiando per Roma.
Il regalo fu accolto con affettuosa gratitudine ma, dopo alcuni accondiscendenti tentativi, la sua pipa restò un elegante regalino del figlio appoggiata in bella vista sui mobili di casa. 
Le avevo comprate da Smith, vicino al British Museum, un autentico tabaccaio di altri tempi di cui non avrei mai sospettato l’esistenza prima di capitarci dentro per caso.
A quel tempo frequentavo la prestigiosa British Museum Library, allora aperta anche a studiosi internazionali, dietro presentazione di credenziali e agli studiosi accreditati erano riservate confortevoli postazioni di cuoio blu dove si potevano lasciare i libri aperti dalla mattina alla sera, anche durante la veloce pausa pranzo o la velocissima pausa-pipa. 
Proprio durante una di quelle pause pranzo m’imbattei nel tabaccaio a pochi passi dal museo. Come il nome, anche l’aspetto esteriore del negozio era incolore e non lasciava presagire la miniera di pipe e tabacchi che nascondeva nel vasto interno. A parte le pipe, quello che mi sorprese fu “la macchina del tabacco” su misura. 
Un grosso imbuto verticale terminava con una vite alla quale si poteva avvitare una classica scatola tonda vuota da riempire con la miscela di tabacchi desiderata. Il tabaccaio preparava al volo la mistura richiesta prelevando da grossi vasi la percentuale di virginia, burley, kentucky, latakia ecc. la spingeva nella scatola, avvitava il coperchio e ti portavi via il tuo tabacco su misura. Volendo, potevi far registrare le tue preferenze su di un librone che sembrava il codice atlantico e ordinare a Smith cinque, dieci scatole e fartele recapitare a casa per posta. A giudicare dalle dimensione del librone il fantastico Smith ne doveva avere di clienti affezionati.
Per noi disgraziati pipatori italici era un sogno. All’epoca a fatica trovavamo dal tabaccaio gli squallidi trinciati del monopolio e, se ti andava bene, una lussuosa scatola rossa di Prince Albert o di Rivelation.

Nell’immagine la sala della British museum library

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Pipae, piparum, pipis

pipa

“Chi non fuma nella pipa non capisce la canzon”
Quando mio nonno mi vedeva accendere la pipa di solito mi diceva questa frase sibillina con aria scherzosa e di approvazione.
Sarebbe stato inutile chiedergli una spiegazione perché non era sua abitudine fornirle per le frasi proverbiali, molte volte di difficile interpretazione, che diceva in momenti appropriati secondo il suo giudizio.
Nel dopoguerra fumavano tutti, c’erano ben altre preoccupazioni nell’aria che s’imponevano all’ attenzione. 
Per quanto ricordo, in famiglia la sola che non fumava era Luisa: la domestica di origine contadina che per me è sempre stata una nonna affettuosa. 
Non era certo il tipo da fare commenti, ma dalle attenzioni che poneva nel riordino delle mie pipe e alla pulizia esterna del vaso del tabacco ho sempre avuto l’impressione che ritenesse la mia abitudine di fumare la pipa, anziché le sigarette, una cosa degna di un uomo, seppure un giovane uomo in fase di formazione. 
Era una cosa ben fatta, come andare a caccia in valle alzandosi prima dell’alba o a pesca al tramonto, tutte cose da uomo che non andavano scoraggiate, quantomeno, in un giovane che stava cercando la sua forma.
Resta il fatto, che fu la sola a regalarmi una bellissima pipa bianca di schiuma di mare nel suo lussuoso astuccio, vellutato all’interno, che io apprezzai molto.
Lo ricordo bene perché non solo fu il primo regalo del genere, ma di pipe in vita mia ne ho ricevute in regalo poche, pochissime. Neppure le morose più generose e avventurose, eccetto una, si azzardavano a regalarmi una pipa. 
Maglioni di lana fatti a mano, camicie, cravatte, papillon, acqua di Colonia sì, ma non pipe. Mai.
C’è da dire, che scegliere una pipa da regalare richiede molto coraggio, per non dire incoscienza. Neppure il criterio più ovvio: compro una pipa di marca, semplice e diritta, garantisce il successo.
È più facile indovinare un terno al lotto che predire se una pipa ha l’anima buona e gentile, prima di averla fumata per qualche tempo.
È, invece, abbastanza facile per un fumatore esperto, guardandola e soppesandola fra le mani, predire se una pipa non sarà gradevole da fumare. 
Insomma è molto più facile sapere scartare piuttosto che comprare e risulta una impresa temeraria per una ragazza affettuosa che desideri semplicemente essere ricordata dal moroso tutte le volte che fuma la pipa che gli ha regalato.
Ergo pertanto il centinaio di pipe che ho in giro per casa, in vista su rastrelliere o imbucate e dimenticate in cassetti, me le sono comprate nel corso degli anni da tabaccai ben forniti e qualcuna anche direttamente da chi le fabbricava a mano.
A Bologna c’era uno di questi artigiani vicino al cinema Contavalli, prima che lo demolissero, insieme alla maggioranza dei cinema bolognesi, colpiti dalla fillossera televisiva più micidiale dei bombardamenti americani durante la guerra. 
Era un omone cordiale e gentile con le mani d’oro. Sapeva fabbricare belle pipe nuove da ciocchi rustici di radica stagionata che riceveva dalla Calabria.
Si occupava anche di pipe sinistrate rimettendole a nuovo. Ricostruiva i bocchini spezzati di ambra o di banale plastica nera, rinforzava con ghiere d’argento su misura il cannello di legno crepato e faceva tutto il resto necessario a dare nuova vita ad una povera pipa malmessa.
Una pipa rotta aveva più speranze di vita portandola a lui che un paralitico a Lourdes..
Marginalmente, comprava e vendeva pipe nuove e usate anche non fatte con le sue mani. La sola cosa che non potevi trovare nella sua bottega era una pipa di scarso valore e soddisfazione. 
La robaccia da due soldi che gli inesperti trovano dai tabaccai improvvisati, gli spacciatori di sigarette e grattaevinci, lui non la teneva.
Da lui comprai più di una pipa, tutte belle e brave. 
Una ottima di radica fiammata semicurva l’aveva scavata un po’ troppo, ricavando un fornello molto capiente con un ingombro esterno modesto. Questa anomalia la rendeva indicatissima da tenere sempre nella tasca interna della giacca insieme alla borsa del tabacco. Purtroppo, nel corso dei decenni di onoratissimo servizio il legno troppo sottile si crepò partendo dall’alto, ma senza compromettere minimamente il piacere di fumarla. Ancora adesso è una delle più fumate, a dispetto della sottile crepa che continua ad allungarsi verso il fondo.

Con mia sorpresa un giorno trovai la sua bottega chiusa e abbandonata come il vicino cinema. Per fortuna si era solo trasferito in un negozio più grande ed elegante in un’altra strada del centro, come seppi dai negozianti vicini, sopravvissuti agli sventramenti e ristrutturazioni. Lo ritrovai nella nuova sede completamente calvo. Aveva subito una delicata operazione al cervello, ma, per fortuna, il medico che lo aveva operato lo aveva riparato con la stessa maestria con cui lui operava le pipe.

(continua)

Gli audio-libri ai tempi di Marziale

Marco Valerio Marziale

In un interessante articolo su La Repubblica del 23 luglio 2019 Maurizio Bettini parla degli audio-libri e mette in evidenza come la lettura ad alta voce o la recitazione dei versi in pubblico fosse molto diffusa in età augustea, oltre che nelle età più antiche di cui già si sapeva. Virgilio, ad esempio, pare fosse più noto per la sua bella voce e la sua suggestiva capacità di lettura dei suoi versi che per la sua poesia.
A quei tempi il pubblico di ascoltatori era tutt’altro che passivo e durante la recitazione, non solo ascoltava con piacere, ma suggeriva idee e modificazioni a ciò che stava ascoltando.
Il poeta Marziale durante il suo esilio in una remota località dell’impero dove sicuramente non era presente un pubblico colto in grado di apprezzare e interagire con lui durante la lettura dei suoi versi si rammaricava molto di questo aspetto della forzata lontananza da Roma anche perché si era spinto fino a dichiarare che i suoi versi migliori erano stati suggeriti dai suoi ascoltatori fra il pubblico colto romano.
I moderni audio-libri sono però, a mio parere, molto lontani dalla esperienza delle pubbliche letture in età augustea perché rimangono essenzialmente una esperienza individuale, molto simile alla lettura muta che noi consideriamo il modo normale di conoscere un libro.
Proprio per questo, non mi sorprende che gli audio-libri si stiano diffondendo come nuova forma di lettura in un pubblico che è già abituato ad ascoltare con gli auricolari musica e conferenze che trova facilmente su YouTube e altre piattaforme simili.
Quello che manca, per ora, è la capacità dei sintetizzatori vocali di leggere in modo chiaro e senza sgradevoli inflessioni un testo qualsiasi che non ha ricevuto l’onore di essere trasformato in audio-libro da un lettore umano.
Non solo per i ciechi ma per tutti coloro che preferiscono ascoltare piuttosto che leggere con gli occhi, il futuro è abbastanza prevedibilmente roseo perché la evoluzione dei sintetizzatori vocali è stata molto rapida ed è oggetto di notevoli investimenti, tesi a renderli sempre più simile alla voce naturale di una persona in carne ed ossa.
Nel frattempo, però, mi accontenterei di navigatori satellitari GPS che pronunciassero in modo chiaro il nome delle strade senza accenti esilaranti.
Invece, per una lettura sintetica commovente di Leopardi sono disposto ad aspettare ancora un pezzo.

Nella illustrazione il poeta Marco Valerio Marziale

Silenzio!

Silenzio!

Appartengo alla sottospecie umana a cui piace il silenzio, ne ho bisogno. Come gli indo-americani non sento il bisogno di colmare il silenzio con riempitivi verbali o convenevoli se non sono solo. “Il silenzio è d’oro” si diceva anche qui da noi, del resto.
Non trovo disdicevole stare seduto in silenzio in presenza di altri umani, se non ho niente da comunicare. 
Ascoltare la radio o la televisione come un sottofondo sonoro di compagnia a me dà fastidio. Sono uno a cui piace pensare, possibilmente in ambiente silenzioso. Niente di pretenzioso, però. Insomma non voglio passare per un COGITO ERGO SUM. Oltretutto, non credo che pensare sia una prerogativa solo umana e tantomeno la più distintiva ed eccellente. Chiunque abbia avuto un cane o un gatto in famiglia sa che pensano, eccome. 
Naturalmente si riesce a pensare anche nel frastuono della metropolitana, ma farlo tranquillamente in un ambiente silenzioso seduti in poltrona o dentro ad una vasca da bagno è molto più spassoso.
Mi piacerebbe farlo spesso senza essere banalmente interrotto o disturbato senza motivo. 
Tutto qui. 

Nella foto un mastino tibetano un forte pensatore che non ho mai avuto il piacere di frequentare

Matite gialle

matite

A me piace dettare al telefonino o al computer. Con gli attuali sistemi di assistenza vocale che si fondano sul continuo confronto di ciò che viene dettato con dizionari interni la quantità di errori è molto limitata. I fraintendimenti sono sempre possibili, naturalmente. Un controllo del testo dettato è sempre comunque indispensabile. Un altro vantaggio innegabile è la “velocità di scrittura” quando si sta dialogando a distanza con applicazioni come Telegram o WhatsApp. Infatti, il tempo di attesa della risposta scritta sulle minuscole e scomode tastiere, se il messaggio è piuttosto lungo, risulta fastidioso.
Non potendo dettare, lo strumento che preferisco a tutti gli altri è sicuramente la comoda tastiera del computer. Il più sgradito di tutti, invece, è la macchina da scrivere, benché abbia tentato di familiarizzare con quel tipo di scrittura fin da bambino, quando comprai con i miei risparmi una Olivetti lettera 22, che era un vero gioiello e tuttora conservo con affetto, ma non uso mai. 
Nella tasca interna della giacca tengo sempre un pennarello a punta fine con il quale prendo veloci appunti all’interno della mano sinistra e uso anche per disegnare le mie pipe sulle tovagliette di carta delle pizzerie.
Per decenni lo affiancavo ad una stilografica e ad una elegante matita automatica di metallo con le mine da 05 che aveva anche il comodo gommino per cancellare. protetto e nascosto da un coperchietto metallico molto utile per aggiustare il tiraggio della pipa mentre fumo.
Non ho mai avuto molta dimestichezza e simpatia per le biro né per le matite di legno che richiedono una continua affilatura della punta con il temperamatite. Sono prive di clip per tenerle agganciate in tasca e hanno il gommino scoperto che non può essere usato come attrezzo per la pipa. 
Insomma, non fanno per me, mentre sono molto popolari nelle mani di indaffarati impiegati e giornalisti nei film americani. Di solito sono gialle e, a quanto leggo in un interessante articolo, il colore è stato introdotto con un colpo di genio da un intraprendente fabbricante che ha deciso di usare una grafite di origine orientale, più pregiata di quella inglese, scegliendo per la casacca delle sue matite il colore giallo che più viene associato in oriente al potere Imperiale e, più in generale, alla ricchezza e al lusso.
Non lo avrei mai sospettato.

La conchiglia marina

La conchiglia marina

Nella mia foto due conchiglie di casa
Fra le voci antiche a me più care
Che ancora una volta vorrei riascoltare
C’è quella arcana della conchiglia marina
Non quella grande ma la più piccina
Che conserva ancora la voce del mare