Stonehenge rappresenterebbe una vagina

lun. 14 luglio 2003

Imperituro

Secondo alcune ipotesi il sito archeologico di Stonenge non era altro che un osservatorio per studiare l’alternarsi delle stagioni, secondo altre un avamposto utilizzato dagli alieni… Ora uno studio del ginecologo Perks, pubblicato sul Journal of the Royal Society of Medicine e riportato dal quotidiano Observer, sbaraglia le ipotesi già note con una nuova tesi: Stonehenge rappresenterebbe una vagina… il varco attraverso il quale madre natura partorì piante e animali. Secondo Perks “è la visione dall’alto che non lascia dubbi: la forma è quella dell’organo sessuale della donna.”

La tesi di Perks, però non convince David Miles, archeologo responsabile del sito. “…se dovevano rappresentare un organo sessuale femminile dall’alto, come faceva la gente a vederlo? In epoca preistorica non c’erano né aerei né mongolfiere”

Visto l’accanimento interpretativo inarrestabile, il cerchio misterioso dei pietroni di Quark, presentati anni fa agli italiani da Piero Angela con uno splendido servizio, sembrerebbe uno degli scherzi meglio riusciti al mondo. Infatti, a differenza delle teste di pietra fasulle di Modigliani o di tanti altri celebri falsi, l’autore dello scherzo continua mantenersi al coperto, sotto terra. Chissà che risate si sta facendo dall’oltretomba.

Ad ogni modo, una bella vagina celtica, pensata per essere fruita da sopra, gigantesca e di pietra imperitura, mi sembra il giusto bilanciamento ai troppi obelischi in millenaria erezione sparsi nel mondo classico.

Eh kekkazzo!

Strolga

Mi fa compagnia con un Pastis?

mar. 15 luglio 2003

  • Giovanni
  • Piacere, Battista
  • Che coincidenza, insieme facciamo una celebrità
  • E’ vero; era un film degli anni trenta, mi pare
  • Sì, anche di più, credo
  • Quaranta?
  • Sì, ma con il cambio di allora e a inflazione zero
  • Ah, certo, bisogna sempre tenerne conto. Oggi quanto varrebbe? Molto di più, penso.
  • Esattamente.
  • A proposito, Lei cosa pensa dell’Euro?
  • Un po’ toppi centesimi. Avrebbero dovuto farne meno, non le pare?
  • Sono fastidiosi, ha ragione. Avrebbero potuto limitarsi ad una dozzina, come i vecchi pence
  • Evitando però il taglio del singolo penny. Ricorda quanto era grosso e pesante?
  • Assurdo! Non trovo espressione migliore per definirlo.
  • Sarebbe meglio limitarsi ad una dozzina di pence, ma solo nel taglio da tre che è un sottomultiplo perfetto
  • Sì, sarebbe opportuno però mantenere anche un paio di sixpence
  • Non capisco come non ci abbiano pensato. Ragioni politiche, immagino; la razionalità è la prima a soccombere, quando si devono trovare compromessi a tutti i costi.
  • Com’è vero, le decisioni lineari ormai non hanno più spazio
  • Lo ha notato anche Lei? E’ in atto una perniciosa tendenza verso il puntiforme
  • … ma non puntuale, e pensare che gli strumenti ci sarebbero
  • Da quanto ho letto, gli orologi atomici hanno una precisione di un miliardesimo
  • Certo, volendo, sarebbero precisissimi, niente di paragonabili ai vecchi cronometri sistema Roskoff
  • Russi?
  • Non saprei, era di mio nonno
  • Incommensurabile, allora. Una società che trascuri il valore affettivo è già virtualmente morta, Le pare?
  • Talis pater, talis filius: la continuità, non solo genetica, è alla base del retaggio
  • Mi fa compagnia con un Pastis?
  • Volentieri; acqua a parte e senza ghiaccio, però
  • Ma certo, non siamo mica regrediti al cannibalismo, al postutto.

Dormi Pico! Dormici sopra

mer. 16 luglio 2003>

Un team dell’Università della Pennysylvania ha rivelato che il sonno aiuta l’organismo a consolidare la memoria delle informazioni ricevute nel corso della veglia. Quando non si riesce ad apprendere, quindi, è meglio dormire, infatti… ” C’é ragione di credere … che il sonno regoli le funzioni delle cellule cerebrali durante i processi di consolidamento della memoria”. Concorda con questa teoria anche il direttore del Centro scozzese per il sonno Neil Douglas che, ripreso dal sito online della Bbc, per quanto riguarda il consolidamento della memoria mette l’accento sull’importanza delle prime 5-10 ore successive alla registrazione di nuove informazioni da parte del sistema nervoso centrale. E sulla necessità, per la maggior parte delle persone, di dormire almeno sei ore al giorno: il tempo necessario per le operazioni di riordino della memoria e dell’intero organismo.”

http://www.ilnuovo.it/nuovo/foglia/0,1007,183957,00.html

Sembrerebbe, quindi che la mossa strategica di andare al primo spettacolo cinematografico e poi subito dopo a dormire la sera prima di un esame, istintivamente adottata dagli studenti più saggi, sia benedetta ora anche dalla scienza più avanzata. Anzi, in periodo d’esami, meglio ancora sarebbe studiare il giusto di giorno e andare al cine presto, vedersi un bel film rilassante che concili un sonno ricco di sogni, per poter fare un bella dormita tutte le notti. Il costume virtuoso dovrebbe essere esteso a gran parte dell’anno, visto che una buona preparazione la si ottiene con uno studio lungo e graduale.
Al contrario, la strategia dei secchioni più svergognati che studiano forsennatamente tutta la notte, per arrivare all’esame con le occhiaie, sembrerebbe giustamente condannata, come merita.
Meglio essere un po’ più asino, ma fresco e con i cassettini della memoria bene ordinati che un po’ più sapiente, ma con un cestone di nozioni disordinate appiccicate alla memoria con lo sputo, per dirla in termini rigorosamente scientifici.
“Meglio dormirci sopra” ha già ricevuto il suo imprimatur scientifico, non ci resta che attendere fiduciosi che il festoso evento si ripeta ben presto anche per l’altrettanto popolare: “Canta che ti passa”.

Compreresti un’auto usata da quest’uomo? NO!

ven. 18 luglio 2003

Non mi credi?

“Compreresti un’auto usata da quest’uomo? NO”

Questo è il significato della scritta in norvegese che appare su cartelloni affissi per le strade della Norvegia. (vedi foto)-
L’uomo in questione è il presidente del Consiglio italiano in carica e presidente di turno del Parlamento europeo; la foto è quella da lui stesso scelta per l’ultima vittoriosa campagna elettorale politica nel nostro paese. Proprio lo stesso faccione sorridente che lo ha portato alla vittoria e al governo, solo che, in questo caso è usato da “Nei til EU”, un movimento che in Norvegia cerca di dissuadere (finora con successo) i cittadini dall’aderire all’Unione Europea. Nell’attuale campagna di dissuasione antieuropea hanno ritenuto vincente usare l’immagine ufficiale (non una caricatura) di Silvio Berlusconi come prototipo di “uomo di sfiducia” con il quale ci si troverebbe in compagnia, entrando nell’Unione Europea.
Naturalmente, si può essere in completo disaccordo con i promotori della campagna, ma loro la pensano così. Il messaggio inequivoco è: “Norvegesi, sappiate che se aderiste all’UE potreste trovarvi come Presidente un uomo dal quale non vi fidereste neppure di comprare un’auto usata.”
In altri tempi si usava diffusamente l’espressione “faccia da delinquente” per definire una persona poco raccomandabile le cui caratteristiche trasparivano al primo sguardo. Oggi si usano espressioni inutilmente più volgari, ma non più efficaci. Non mi risulta, però, che nessuna delle tante facce da imbroglione, così numerose fra gli uomini politici, rese famose dal cinema o dalla televisione abbia mai ottenuto un riconoscimento internazionale così lusinghiero come l’essere scelto quale testimonial ufficiale del “poco di buono” in una costosa campagna pubblicitaria sui muri di un intero paese e su Internet ( http://www.neitileu.no ).
Un ulteriore successo, ma non certo l’ultimo, da aggiungere ai tanti già acquisiti dal “Cavaliere” nei campi più disparati. Siamo sicuri che altri successi del genere non mancheranno e ci complimentiamo in anticipo con Lui.

Buono come un pezzo di pane

sab. 19 luglio 2003

  • fior di pane
  • …ti dico che è buono come un pezzo di pane
  • una baguette?
  • Sempre con questa esterofilia. Un pezzo di pane nostrano, pane comune: farina, acqua, sale e lievito.
  • E la cottura? Lo mangi crudo?
  • Ci mancherebbe: lo mangio ben cotto con la crosta dorata, se non ti offendi.
  • Io no, ma non ti offendere neanche tu se ho nominato il pane francese, ammetterai che c’è pane e pane come dice Dante.
  • Ah quel verso che dice come sa di sale per l’altrui scale, me lo ricordo bene
  • Sì, perché il pane toscano è senza sale
  • Azimo?
  • No quello è degli ebrei: senza lievito. Sciapo, dicono loro.
  • Noi diciamo insipido, quando il fornaio si è sbagliato e manca di sale
  • Loro invece dicono che va bene, ma lo chiamano sciapo.
  • Da noi se chiedi del pane sciapo ti dicono che l’hanno finito.
  • Anche quello azimo.
  • Come sarà?
  • Perché non sanno cosa sia.
  • Ma anche quando chiedo del pane ferrarese mi danno la stessa risposta. Dici proprio che non sappiano che cos’è il pane ferrarese?
  • No, quello l’hanno finito sul serio perché è troppo buono e lo vendono subito
  • Era quello che pensavo, ma, allora è proprio vero che i migliori sono i primi ad andarsene
  • L’hai detto: Coppi, Bartali… tutti morti.
  • Per chi tenevi, all’epoca?
  • Per Bartali, ma non mi era tanto simpatico, a ripensarci
  • Coppi invece faceva il garzone da un fornaio, ma ne aveva dovuti mangiare di crostini prima di diventare campione del modo, poverino.
  • Bartali invece era toscano. Chissà se mangiava il pane insipido?
  • Sciapo, vuoi dire.

Sughi, sapa e sapore.

dom. 20 luglio 2003

Quando veniva la stagione giusta e il sole, la pioggia e il vento leggero di pianura avevano fatto il loro mestiere i grappoli di uva nera finalmente assumevano il colore da cui prendevano il nome. Lungo i filari di olmi, le cui foglie avevano in passato nutrito i bachi da seta, si sporgevano i pergolati simmetrici, belli alti da terra per sopravvivere alle tardive gelate di primavera: temuti soprassalti finali dell’inverno ormai svanito.

Fra le belle foglie fitte della vite, sopravvissute alle potature, pendevano i grappoli di lambrusco salamino, ulivo, lancellotti. dalle dimensioni così diverse da lasciar presagire, fin dal primo sguardo, le diversità di sapore. C’erano grappoli grossi, fitti e pesanti, lunghi una spanna da uomo e grappolini radi che stavano tutti interi nella mano di noi bambini. Erano così invitanti che non si resisteva alla tentazione di mangiarli subito con un sol morso con un moto della testa più vicino a quello di un coccodrillo che a quello di un cucciolo umano.

Niente sgridate, però, e nemmeno un rimprovero fuggevole con gli occhi, anche se la faccia diventava scuretta e appiccicosa: era la stagione in cui le signorine cagionevoli di città venivano mandate in campagna a fare la cura dell’uva.

In queste scorribande al tramonto al seguito di Luisa si riprendeva la bicicletta verso casa solo quando la grande sporta di pavera, destinata ad uno dei corni del manubrio, si era riempita di uva matura e bilanciava l’altra sporta gemella che ospitava, fra un’imbottitura di stracci puliti, le due fiasche spagliate piene di latte tiepido che il contadino aveva preparato per noi.

Arrivati a casa lungo l’argine del canale illuminato dalla luce del crepuscolo bisognava bollire il latte, denso di panna, e pigiare l’uva che non sarebbe finita in tavola per ricavarne un mosto nero, denso e dolcissimo presago di “sughi”, “sapa” e “sapore”: tre delizie che sarebbero durate tutto l’inverno.

Si tiene la cola seca… buen tiempo

lun. 21 luglio 2003

Dal primo viaggio in Ispagna, insieme ad alcune brocche di terracotta bianca, porosa e trasudante, per tenere l’acqua fresca, arrivate a destinazione miracolosamente vive, portammo a casa anche una piastrella incastonata in un’elegante cornice riccioluta di ferro battuto nero. La decorazione rappresentava una capretta con una coda sporgente di autentica stoppa soggetta agli eventi ed agli umori atmosferici, purché esposta all’aria e alla pioggia, fuori da una finestra.
Da questa sofisticata attrezzatura, l’insieme prendeva, a buon diritto, il pomposo titolo di “Barometro Intemperie”. Il funzionamento dello strumento era spiegato in chiara prosa castigliana in sei righe nella metà inferiore della piastrella, sotto la capretta saltellante e felice di una carota in bocca.
Nella prima riga si spiegava: “Si tiene la cola seca… buen tiempo” fino ad arrivare, con un graduale crescente peggioramento climatico alla sesta, più drammatica: “Si està helada… nieve”.

Da allora, con il trascorrere dei decenni, il barometro ha cambiato case e città e sta trascorrendo un’onorata vecchiaia sotto il portico bianco della casa al mare, senza essersi mai sbagliato o avere tradito la sua funzione originaria, benché i tempi siano cambiati in modo così impressionante da risultare incredibili anche a chi li ha vissuti. Niente di più di un elegante manufatto di ferro battuto, pretestuosamente costruito intorno ad uno scherzo ingenuo, si dirà, ed è vero.
La Spagna di allora era un paese bellissimo, ma molto povero, più della stessa Italia che stava faticosamente riemergendo dalla batosta bellica. Io portavo i calzoni corti e condividevo con le valige e le brocche d’acqua fresca lo spazio posteriore di una “topolino”, la costosa Fiat 500 C. Era un’utilitaria per pochi, in un paese che si stava motorizzando, con sacrifici, per mezzo di Vespe e Lambrette, se non addirittura dello spartano Mosquito, appoggiato alla ruota della bicicletta.
Le strade di Spagna erano poche, semideserte e piuttosto malconce. I somarelli e i muli erano compagni di strada tutt’altro che infrequenti nell’assolatissimo torpore dell’altopiano e li si poteva anche incontrare, bendati e legati ad una pertica, spingere con estenuante monotonia una noria per l’estrazione dal sottosuolo dell’acqua preziosissima e rara. Era un paese dai contrasti drammatici come il sole e l’ombra dei paesini bianchi dell’Andalusia. La corrida era ancora lo sport nazionale e El Dominghin era el primero, stando al giudizio inappellabile dei camerieri dei lussuosi alberghi dove si poteva confortevolmente soggiornare con poche pesetas.
La sola immutabile costante che ho ritrovato sempre, nei tanti viaggi compiuti successivamente in quel bellissimo e amatissimo paese, è il caldo: “Si tiene la cola seca… buen tiempo”

‘… naio, solfanaio, al sulfaner.’

mar. 22 luglio 2003

La vita in città s’identificava con la scuola del mattino ed i pomeriggi malinconici nell’appartamento cupo dei giorni feriali, tagliato a metà dall’ingresso enorme. Era un lungo locale poco illuminato da un finestrone ad arco affacciato sulla scala privata, dove i passi rimbombavano nel vuoto, interrotto solo dalle quattro cassapanche secentesche, scolpite con mostruosi animali mitologici da non guardare mai in faccia prima di raggiungere, di corsa, la camera da letto.
A quel tempo dormivo da solo in una stanza quadrata al primo piano, tappezzata di damasco dorato, ricordo di un diverso uso in epoche precedenti. La finestra si affacciava sulla stretta strada del centro, porticata su di un solo lato e miracolosamente scampata ai bombardamenti che avevano distrutto un vicino teatro, aprendo agli occhi dei passanti prospettive inusitate e vasti varchi pavimentati di macerie fino alla chiesa di S. Giovanni in monte, in cima al colle. Il traffico era rado e irrilevante; nelle orecchie conservo solo il ricordo della trombetta ricurva e della cantilena insinuante dello stracciarolo che passava al mattino con il suo carretto: “… naio, solfanaio, al sulfaner.”

Per fortuna, però, veniva il sabato e la fuga nella grande casa di famiglia dei giorni felici di vacanza. La fine angosciosa dalla visita di fine settimana nel grande paese di pianura dove mi aspettava la bici per le sgroppate in aperta campagna, s’identificava nello scampanio lento e sgradevole della campanella che annunciava l’arrivo del treno del ritorno.
Il suono insistente, attutito e diffuso dalla nebbia fittissima, segnava la fine della festa ancor più dell’arrivo della vecchia locomotiva a vapore, nera, che si materializzava allo sguardo solo all’ultimo momento, preceduta dal suono ansimante che le conferiva un carattere quasi animale. Non ricordo nulla del percorso sulle panche di legno della vaporiera fino al capoluogo di provincia e, tantomeno, del successivo tratto, su di un treno elettrico insignificante, fino al capoluogo di regione che m’imprigionava durante i mesi di scuola.
Ricordo invece quando, in pigiama, passavo dalla camera dei miei per augurare la buona notte. Nella penombra diffusa dalla radio Synudine, accesa a basso volume, si sentiva la sigla finale della trasmissione sportiva della domenica: tristissima.

I due bei disegni sono di Emilia

bookcrossing

sito americano

Il “bookcrossing” non è una novità ma, solo ora, comincia a diffondersi capillarmente anche da noi. Si tratta di una forma di scambio di libri completamente gratuita e volontaria fra sconosciuti. I volumi vengono lasciati nei parchi e nelle stazioni, a disposizione di chi vuol leggerli. Unica condizione: “liberarli” di nuovo dopo la lettura, in modo che il ciclo continui e il libro passi di mano in mano.
Tutte le indicazioni sul modo di procedere sono indicate in modo chiaro in italiano nel sito:

http://www.rinaldiweb.it/eurobc/it/

EtichettaEtichettando e registrando il libro con un numero identificativo, sarà possibile, se si ha fortuna, seguirne i passaggi da un lettore all’altro e anche raccogliere impressioni di lettura.
Non attraverso INTERNET, ma attraverso la radio e con il titolo di “Passalibro”, ha goduto di un buon successo un’iniziativa analoga di radio RAI3

http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/passalibro/

In mezzo al dilagare di tante forme truffaldine di catene di Sant’Antonio, è consolante constatare l’affermarsi di una forma di scambio virtuosa che si fonda sulla passione per la lettura e l’intenzione di condividere con altri l’emozione che deriva dal conoscere un libro.

gio. 24 luglio 2003

Tutta la verità, nient’altro che…

gio. 24 luglio 2003

  • Il terreno era finemente fresato e suddiviso da solchi ortogonali in quadrati regolari della dimensione di un coniglio.
  • Non a quinquonce, allora.
  • No, come una scacchiera
  • Ah, certo. E i conigli erano bianchi e neri, insomma regolari, anche loro.
  • Non in mia presenza.
  • Quando sei arrivato era già finito tutto?
  • Non posso dirlo, capisci, non c’ero proprio. E’ una questione etica, affermare che ha vinto il bianco perché è sempre il favorito, e magari addirittura dire in quante mosse è terminato l’incontro, mi sembra troppo, allo stato.
  • Bravo, hai ragione. Sei per il giornalismo all’inglese when, where, who, why, what o whatch, come preferisci.
  • Certo se non hai visto e non sai niente, zitto come un pesce, altrimenti…
  • … altrimenti, non si guarda in faccia a nessuno, come la BBC con il governo inglese
  • O come la RAI
  • Non sapevo, hanno dato addosso al governo italiano?
  • No, anche loro a quello inglese, siamo esterofili , maledetto vizio nazionale.
  • Come hai ragione! Figurati che qualcuno da noi ha perfino dato peso alla faccenda che i norvegesi abbiano scelto come faccia da imbroglione per una campagna anti-europea proprio il nostro presidente del Consiglio, invece di un tedesco o un francese o qualcun altro.

  • Ridicolo. I tedeschi, se avessero tappezzato la Norvegia con manifesti in cui indicavano il loro presidente come un delinquente, non avrebbero mai pensato, come facciamo noi poveri scemi esterofili, che l’avevano scelto proprio perché ha un’autentica faccia da imbroglione
  • Ci puoi giurare. Ma, tornando alla realtà, non ho capito bene come hanno perso la partita i conigli neri. Com’è andata realmente, in confidenza?
  • E’ stata una partita senza storia, con una superiorità schiacciante dei bianchi nella fase centrale della partita. Una volta mangiata la regina nera, il bianco ha dilagato?
  • O è dilagato?
  • In tutti i modi è stato un massacro, se vuoi proprio sapere la mia ponderata opinione di testimone oculare. Scacco matto in sedici mosse.
  • Bravo! I fatti sempre separati dalle opinioni .

Reggicalze tatuati per calze virtuali spray

ven. 25 luglio 2003

In attesa che un’intraprendente azienda inventi un set di 12 reggicalze in formato di tatuaggio cancellabile con un innocuo solvente, è vitale sapere che si è già proceduto al maquillage della restante parte della gamba con calze di seta spray.

http://www.ilnuovo.it/nuovo/foglia/0,1007,184800,00.html

La ditta Nissin Medico di Nagoya in Giappone ha, infatti, già cominciato a vendere con successo le sue Air Stocking in bomboletta per l’abbordabile prezzo di 13 euro. Con una confezione si ricavano una ventina di paia di “ calze virtuali” che non si smagliano, vestono perfettamente e, molto apprezzabile in questi giorni, sono freschissime
Per indossarle si spruzzano direttamente sulle gambe, mentre per toglierle basta un’energica spazzolatina sotto la doccia.

Meglio un secolo da leone, che un anno…

lun. 28 luglio 2003

Entro la fine di questo secolo la vita media dell’uomo potrebbe allungarsi notevolmente: fino ad arrivare a 180 anni, secondo alcuni esperti, sicuramente ottimisti… mentre secondo altri ” L’organismo umano non è comunque fatto per superare l’attuale limite dei 120 anni , che si può considerare il limite ultimo naturale” e, stando ad Harvey Cohen della Duke University, per arrivare a 180 anni bisognerebbe riuscire a ritardare l’ invecchiamento come fenomeno generale, intervenendo a livello genetico, e questa possibilità “appare improbabile per il prossimo futuro”

vedi: http://www.ilnuovo.it/nuovo/foglia/0,1007,184594,00.html

Da questo dibattito in corso fra scienziati sembrerebbe che i più pessimisti si limitassero ad una miserabile prospettiva di 120 anni. Dalla mie parti si direbbe “Ce ne fosse…” Il punto vero, però, mi sembra un altro. In che condizioni si potrebbe arrivare a quell’età? In altre parole il nostro Matusalemme medio di 120 anni sarebbe un rimbambito, debole e irresponsabile , privo di tutte quelle possibilità che costituiscono la gioia di vivere? Un sopravvissuto a se stesso, un peso per la famiglia e la società, o un individuo ancora attivo e lucido?

Soltanto a quest’ultima condizione mi sentirei di sottoscrivere come un progresso auspicabile l’allungamento della vita, senza peraltro cadere nella retorica del giorno da leone, perfino più fasulla.

Io faccio il tifo perché si diffonda la categoria “Young man senior (60-120)” in buona salute e condizioni economiche confortevoli.

Meglio una lunga vita agiata che una breve e miserevole.