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Il Frassino si è incinerito: Conclusione

     Una importante chiave di lettura del romanzo Possession risiede nella polisemia del termine "ash" e nelle fluttuazioni di significato che assume nel corso della vicenda. Inizialmente con "ash" viene infatti designato semplicemente il personaggio del poeta vittoriano Randoph Henry Ash, in un secondo momento, però, col delinearsi dei caratteri dei personaggi, questo semplice nome sembra arricchirsi delle risonanze racchuise nei suoi significati. Al poeta Ash viene infatti sempre più associata l'immagine del frassino, dell'albero che nella mitologia nordica rappresenta l'unione tra le diverse parti del cosmo, la fusione e la sintesi tra epoche diverse, l'armonia universale. Per gran parte del romanzo Ash rappresenta agli occhi degli altri personaggi, come a quelli dei lettori, una figura esemplare di grande patriraca che l'immagine del "frassino " al quale il suo nome allude, illustra efficacemente.

     Le scoperte fatte dagli studiosi nel corso della vicenda, sembrano però ulteriormente trasformare l'immagine di Ash, relativizzandola e ridimensionanandola: il ritrovamento delle lettere, e le successive indagini, rivelano infatti sempre più la natura mortale, l'incompletezza e la precarietà di quella stessa figura un tempo idolatrata come una divinità assoluta. Alla conclusione del romanzo, parallelmente all'evolversi del rapporto che gli studiosi instaurano con il poeta vittoriano,  il nome "ash" si arricchisce così di ulteriori echi semantici. Come la figura di Ash sembra ora conciliare sia la potenza e la vitalità dell'albero che la precarietà e finitezza cui l'immagine della cenere rimanda, così il termine "ash" sembra vibrare contemporaneamene dei suoi diversi significati e racchiudere una realtà complessa e articolata, la realtà della vita, della creatività, dell'armonia, e la altrettanto essenziale realtà della morte, della mancanza e della precarietà.

     La complessità cui la figura del poeta Ash giunge alla conclusione di Possession mi sembra possa essere descritta dalle parole con le quali A.S.Byatt commenta un passo da The Good Apprentice di Iris Murdoch. Nella scena alla quale Byatt fa riferimento appare infatti un topo la cui primitiva vitalità, indipendenza ed estraneità  all'uomo che lo osserva può essere affiancata all'immagine che gli studiosi hanno del loro predecessore alla conclusione della vicenda:

"He (looked) into the dark (...) ' then he saw that right down at the bottom something was moving as if alive. He frowned and focussed his eyes. He stared. It was a mouse, a live mouse. The mouse ran a little way along beside the wall of the pit, then stopped and sat up. It was eating something. Then it came back again, casting about. It was in no hurry. It was not trapped. It lived there. '
(...) The mouse is in a sense the fact of life, which is in some way the same thing as the fact of death, seen simply, and as a kind of revelation of truth, or reality." (Byatt, 1993: 164)

(" guardò nell'oscurità (...) ' allora vide che proprio là in fondo qualcosa si stava muovendo come se fosse viva. Aggrottò la fronte e mise a fuoco gli occhi. Fissò lo sguardo. Era un topo, un topo vivo. Il topo corse per un breve tratto lungo il muro del pozzo, poi si fermò e si sedette. Stava mangiando qualcosa. Poi tornò di nuovo indietro, guardandosi attorno. Non aveva fretta. Non era in trappola. Viveva là. '
(...) Il topo è in un certo senso il fatto della vita, che è in qualche modo la stessa cosa del fatto della morte, visto semplicemente, e come una specie di rivelazione della verità, o della realtà.")

     La figura di Ash, agli occhi dei suoi studiosi, come il topo per l'uomo che lo osserva, sono immagini della fusione essenziale tra vita e morte, della coincidenza tra "il fatto della vita" e il "fatto della morte", della "realtà" che A.S.Byatt vuole illustrare. La realtà, la verità che Byatt descrive nei suoi romanzi, o nei suoi saggi sembra così allontanarsi da una semplice aderenza ai fatti, o per lo meno non volervi coincidere esclusivamente. La scrittrice, del resto, dichiara in modo esplicito di essersi voluta arrogare la libertà di creare un romanzo la cui forma e il cui materiale si allontanino da una scrupolosa fedeltà ai fatti. La scelta dell'apposizione - a romance - al titolo del romanzo e la citazione in qualche modo esplicativa  posta in apertura del romanzo, illustrano infatti chiaramente quest'intenzione:

"When a writer calls his work a Romance, it need hardly be observed that he wishes to claim a certain latitude, both as to its fashion and material, which he would not have felt himself entitled to assume, had he professed to be writing a Novel. The latter form of composition is presumed to aim at a very minute fidelity, not merely to the possible, but to the probable and ordinary course of man's experience. The former - while as a work of art, it must rigidly subject itself to laws, and while it sins unpardonably so far as it may swerve aside form the truth of the human heart - has fairly a right to present that truth under circumstances, to a great extent, of the writer's own choosing or creation (...).
     Nathaniel Hawthorne, Preface to The House of the Seven Gables "

("Quando uno scrittore chiama la sua opera romance non occorre osservare ch'egli desidera arrogarsi un certa libertà, sia riguardo la sua fattura, sia al materiale, cui non avrebbe attinto se avesse inteso scrivere un novel. Si presume che quest'ultima  forma di composizione miri a una scrupolosa fedeltà, non soltanto al possibile, ma anche al probabile e ordinario corso dell'esperienza umana. La prima invece - se in quanto opera d'arte, deve sottomettersi  a leggi rigide e pecca imperdonabilmente qualora devii dalla verità del cuore umano, ha tutto il diritto di presentare tale verità  valendosi di circostanze scelte e crete in larga misura dallo scrittore stesso (...).
     Nathaniel Hawthorne, prefazione a La casa dei sette abbaini.") (Poss.3)

     L'aperta commistione di generi diversi, di personaggi realmente vissuti e  di altri frutto della fantasia dell'autrice, l'intero gioco metaletterario che caratterizza questo romanzo sembrano così interrogarsi e interrogare i lettori sulla natura di quella verità che l'opera letteraria può cogliere e trasmettere. Paradossalmente addirittura sembra che questo vistoso intreciarsi di forme, di tempi, di aperta finzione e di "realtà" si eclissi e passi in secondo piano rispetto a qualcosa che nel romanzo viene trasmesso al di là delle forme. Sembra quasi che le poesie, le lettere, le favole e i diari debbano ricordare ai lettori che l'essenza, che la verità si trova altrove, al di là della veridicità o meno di quanto viene narrato. (*)

     L'opera d'arte sembra così avere una funzione morale che consiste nel permettere al lettore (e allo scrittore) di percepire quella realtà, quella verità particolare che si nasconde al di là dell'immagine rassicurante e compatta che se ne ha. Nelle conversazioni con Ignes Sodrè  Byatt, riferendosi al valore morale dell'arte di Iris Murdoch sembra infatti indirettamente descrivere anche la propia concezione dell'opera letteraria:

"I think Iris Murdoch does think of art as a form of knowledge, and also of good art as  a form of pursuit of the Good."(A.S.Byatt, Ignes Sodré, 1995: 176 (Imagining Characters 176)

(Credo che Iris Murdoch pensi all'arte come ad una forma di conoscenza, ed anche alla buona arte come ad una forma di ricerca del Bene.")

Nel corso di quella stessa conversazine Ignes Sodrè cita poi un passo da un saggio della Murdoch che chiarisce ed articola ulteriormente il rapporto che si stabilisce tra arte e morale.

"Art and morals [scrive Iris Murdoch] are, with certain provisos (...) one. Their essence is the same. The essence of both of them is love. Love is the perception of individuals. Love is the extremely difficult realisation that something other than oneself is real. Love, and so art and morals, is the discovery of reality. What stuns us into a realisation of our supersensible destiny is not, as Kant imagined, the formlessness of nature but rather its unutterable particularity (...) " (Imagining Characters 177)

("L'arte e la morale sono, sotto alcune condizioni (...) una cosa sola. La lora essenza è la stessa. L'essenza di entrambe è l'amore. L'amore è la percezione degli individui. L'amore è la difficilissima comprensione che qualcosa, oltre a noi, è reale. L'amore come l'arte e la morale sono la scoperta della realtà. Ciò che ci stordisce e conduce al riconoscimento del nostro destino soprasensibile, non è, come pensava Kant, l'aspetto indifferenziato della natura, ma invece la sua inesprimibile particolarità.")

Secondo Murdoch, e secondo la stessa Byatt, lo scopo dell'arte come della morale è quindi quello di riuscire a cogliere ed accettare la particolarità della realtà, di sfuggire alla tentazione di ricondurla ad un unico, "informe" ed indifferenziato universo. Nel caso di Possession il percorso compiuto dai personaggi nei confronti del loro predecessore Randolph Henry Ash sembra proprio riflettere questo allontanamento da un'immagine preconcetta, indiferenziata ed assoluta della realtà per arrivare a coglierne la particolarità, la mancanza e la limitatezza. La morte di Ash e dell'assoluto che ai loro occhi il poeta incarnava, permette quindi ai personaggi di rendersi conto dell'inesistenza di quell'universo originario nel quale avevavano voluto credere  e in cui si erano rifugiati. Alla conclusione del romanzo i personaggi , ed in particolare Roland, accettano quindi una realtà costituita dalla compresenza di vita e morte, una realtà che li rende liberi da quel mondo ideale di cui si erano resi schiavi, e allo stesso tempo, mostrandosi precaria, essenzialmente incompleta e mancante, li limita. Alla conclusione della vicenda Roland sembra così incarnare quel difficile "bilanciamento" - quella "poetic balance" - tra libertà e limite, tra vita e morte, tra spinta individuale e legge universale che A.S.Byatt vede al centro della vita di ogni uomo, della morale, dell'amore e dell'arte.

Per concludere vorrei ora richiamare l'attenzione su una delle due immagini che la stessa A.S.Byatt suggerisce come illustrazione di questa "poetic balance":

"The pictures to which I always return again and again when  thinkingabout this balance, of human and inhuman, vision and artifice, are the purple and yellow sower  (...) and the reaper of Saint-Rémy. " (Passions 331)

("I dipinti sui quali torno ancora ed ncora quando penso a questo equilibrio, tra imano e inumano, visione e artificio, sono il seminatore in rosso e giallo e il falciatore di Saint-Rémy.")

Enrambi i quadri cui Byatt si riferisce, rappresentano infatti l'uomo come una figura intermedia tra cielo e terra, tra il sole e il tramonto, tra la vita e la morte.

"The Sower bridges earth and sky, (...) he is somehow balanced, a man on earth (...) in relation to soil and sun.
I always think of the (...) Reaper as a companion picture, (...) The reaper comes as near as any human being as done to looking steadly at Death and the Sun (...).

« Work is going pretty well - I am struggling with a canvas, (...) a 'Reaper'; the study is all yellow, terribly thickly painted, but the snbject was fine and simple. For I see in this reaper - a vague figure fighting like a devil in the midst of the heat to get to the end of is task - I see in him the image of death, in the sense that humanity might be the wheat he is reaping. So it is -if you like - (...) But there's nothing sad in this death, it goes its way in broad daylight with a sun flooding everything with a light of pure gold. » " (Pssions 331-2)

(" Il Seminatore fa da ponte tra terra e cielo, (...) è in qualche modo in equilibrio, un uomo sulla terra (...) in relazione al suolo e al sole. Penso sempre al (...) Falciatore come ad un quadro gemello, (...) Il Falciatore arriva più vicino di quanto nessun altro essere umano abbia mai fatto a guardare fisso alla Morte e al Sole(...). « Il lavoro sta andando abbastanza bene - Sto lottando su una tela, (...) un "Falciatore", lo studio è tutto in giallo, dipinto in un modo terribilmente spesso, ma il soggetto era fine e semplice. Vedo in questo falciatore - una figura che lotta come un demonio nel pieno caldo per arrivare alla fine del suo compito - vedo in lui l'immagine della morte, nel senso che l'umanità è il grano che sta falciando. E' così - se ti va - (...) Ma non c'è niente di triste in questa morte, va per la sua strada in pieno giorno con un sole che innonda ogni cosa di una luce d'oro puro.»")

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