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Dentro i cerchi: "duro"realismo e creatività

  Alla fine del romanzo, l'accetazione dell'impossiblità di ogni conoscenza totalizzante anche se circoscritta ad ambiti delimitati, e la rivelazione della loro essenziale estraneità e secondarietà al liguaggio e alla realtà, non porta però i due protagonisti ad uno sterile nichilismo, ma cosituisce al contrario la condizione necessaria per la loro "liberazione", costituisce in altre parole il distacco dagli spettri del passato   che permette loro di mostrarsi come individui autonomi e creativi. Utilizzando un'immagine suggerita dalla stessa A.S.Byatt, si potrebbe dire che, se i vocabolari, se cioè il linguaggio, sono come dei cerchi e delle ellissi che vincolano i movimenti dell'uomo, allora i due personaggi  sono entrati in questi cerchi, hanno accettato di far parte di un mondo che sfugge al loro controllo, hanno accettato l'alterità e la diversità. L'adesione a questa nuova e "dura" realtà, si rivela quindi il paradossale strumento attraverso il quale esprimere la propria particolarità ed autonomia. A.S.Byatt, in una battuta rivolta a Frank Kermode, afferma del resto esplicitamente come questa "dura" consapevolezza non debba condurre ad un facile pessimismo, ma rappresenti piuttosto il concreto e quotidiano rapporto con la verità.

"I failed to persuade Frank Kermode that 'hard' in that conext might be taken to mean solid, in the sense of tirra firma, and not merely hostile and rejecting." (*)(Byatt, 1993:     )

("Non sona riuscita a convincere Frank Kermode che "dura" in quel contesto può rappresentare solida, nel senso di tirra firma, e non solo ostile e repellente")

La soglia: Maud e Roland

  La formazione di Roland, rappresentata dall'accettazione della realtà come entrata in cerchi ed ellissi, coincide simbolicamente con il superamento di una soglia e con l'apertura ad un nuovo mondo. Diversmente dal collega Roland, Maud is trova invece alla fine della vicenda ancora in parte legata a quello spazio liminale nel quale ha ricercato un rifugio dalla realtà esterna. Come illustrano le seguenti battute, per Maud come per le donne di Possession in generale, l'attaccamento ad uno spazio intimo, estraneo alla "dura" realtà che le circonda, rimane un aspetto essenziale delle loro vite.

(Maud a Roland) "I fell as she did. I keep my defences up because I must go on doing my work. I know how she flet about her unbroken egg. Her self-possession, her autonomy. I don't want to think of that going. You understand?
'Oh yes.'
'I write about liminality. Thresholds. Bastions. Fortresses.'
'Invasions. Irruption.'
'Of course.'
It's not my scene. I have my own solitude.'
'I know. You - you would never - blur the edges messily.' " (P 506)

(Maud a Roland) ("Mi sento come si sentiva lei. Mantengo le mie difese perché devo andare avanti con il mio lavoro. So quel che sentiva rispetto a quel suo uovo intatto. La sua autopossessione, la sua autonomia. Non posso pensare di rinunciarci. Mi capisci?
 - Certo.
 - Scrivo di liminalità. Di soglie. Bastioni. Fortezze.
 - Invasione. Irruzione.
 - Naturalmente
 - E' uno scenario che non mi appartiene. Ho la mia personale solitudine.
 - Lo so. Tu - non confonderari mai - i confini.(Poss. 504)

 Forse proprio perché il rapporto di possessione e di identificazione con un ideale si manifesta nel personaggio di Maud piuttosto a livello della sua immagine corporea, che più apertamente  attraverso il linguaggio, la sua formazione viene rappresentata in modi intimi ed incerti, relegata alla sfera del non detto. Il rapporto con Roland è infatti dominato dal silenzio e da taciti accordi:

"They took to silence. hey touched each other without comment and without progression.  hand on hand, a clothed arm, resting on an rm. An ankle overlappingan ankle (...) and not removed.
One night they fell asleep, side by side, on maud's bed, where they had been hring a glass of Calvados (...). They did not speak of this, but solently negotated another such night. It was important to both of them that the touching should not proceed to any kind of fierceness or deliberate embrace. Thhey felt in some way this stately pecefullness of unaknoledged contact gave back their sense of their separate lives inside their separate skins. Speech, the kind of speech they knew, would have undone it." (P424)

("Si rifugiavano nel silenzio. Si toccavano senza far commenti, né progressi. Una mano su una mano, un braccio vestito che si posa su un braccio. Una caviglia che sfiora una caviglia (...) e non viene ritratta. Una notte si addormentarono uno vicino all'altra sul letto di Maud, dove avevano condiviso un bicchiere di Calvados.(...) Non ne parlarono, ma senza dirlo negoziarono un'altra notte come quella. Che il toccarsi non desse lugo ad alcun tipo di violenza o di abbraccio intenzionale era importante per tutti e due. Sentivano che in qualche modo quella pacifica solennità di contatti non riconosciuti restituiva loro il senso delle proprie vite separate dentro pelli separate. Le parole, il tipo di parole che essi conoscevano, avrebbe distrutto tutto ciò. (Poss. 423-4)

 Anche il significativo abbandono da parte di Maud dell'abbigliamento verde, avviene in un modo che deve apparire incidentale e quindi non compormettente. La rocambolesca avventura che conclude il romanzo, nella quale Roland e Maud insieme a Euan, Val, Blackadder e gli avvocati sorprendono Cropper e Hildebrand Ash a dissotterrare i coniugi Ash, avviene infatti sotto una pioggia battente che costringe i personaggi ad un improvviso cambio di abiti. Ai lettori non appare però un caso che la fredda e controllata Maud si apra all'amore proprio in quest'occasione che la vede liberarsi da quell'immagine-corazza nella quale si era sempre rifugiata.

"Cold hand met cold hand:
 'Let's go into bed, ' said Roland(...)
 'I'm afraid  of that too.'
 'What a coward you are after all. I'll take care of you, Maud.?
So they took off their unaccustomed clothes, Cropper's multicolored lendings, and climbed naked inside the curtains and into the depths of the feather bed and blew out the candle." (P.507)

("Una mano fredda incontrò una mano fredda.
'Andiamo a letto,' disse Roland (...).
'Ho paura anche di quello.'
'Sei un'incredibile codarda, dopotutto. Mi prenderò cura di te, Maud.'
Così si tolserro quelle veti inconsuete, prestito multicolore di Cropper, e si arrampicarono nudi tra tendaggi e nelle profondità del letto di piume e spensero la candela.") (Poss. 504)

Il muro

 L'uomo si trova quindi a far parte di un "duro" e lontano mondo; questa "durezza", questa concreta difficoltà nel rapportarsi alla realtà, viene evocata esplicitamente dalla scrittrice tramite un'immagine che trae dalle lettere di Van Gogh al fratello Theo, l'immagine del muro:

"What is drawing? How does one do it? It is the act of working one's way through an invisible wall of iron which seems to lie between what one feels and what one can do."(*)

(Che cos'è il disegno? Come lo si fa? E' l'atto di lavorare la propria strada attraverso un invisibile muro di ferro che sembra porsi tra quello che uno sente e quello che riesce a fare)

Per A.S.Byatt questo è il "sense of the real", la fedeltà di Van Gogh alla realtà ed alla sua radicale estraneità , che ogni uomo, ogni artista dovrebbe possedere. Il "self-conscious realism" (Passions p.4 *)di cui parla la scrittrice, si distanzia notevolmente quindi dal naturalismo e dal realismo ottocenteschi per rappresentare piuttosto una onestà e una "sanità di mente" che superi il rassicurante antropomorfismo di cui si è nutrita l'arte.

"Sanity, perhaps, is to find a way to escape from such parodies, such bloody and semantic self-projections.
Like Van Gogh, whose realism seems to be an essential part of this sanity, which at any given point we feel to be luminous, precarious and hard-won." (Passions 328)

("La sanità, forse, sta nel trovare un modo per sfuggire da tali paroldie, da tali maledette semantiche proiezioni di sé.
Come Van Gogh, il cui realismo sembra essere parte essenziale di questa sanità, che in ogni momento sentiamo essere luminosa, precaria e duramente conquistata.")

Elenchi di parole.

      L'abbandono da parte di Roland delle rappresentazioni "antropomorfiche"della teoria letteraria coincide con l'entrata nei cerchi di un linguaggio che non può essere uno strumento in suo potere ma che, al contrario, gli preesiste e lo vincola. Roland comincia così a scrivere timidi elenchi di parole che non si lasciano inscrivere nelle teorizzazioni della critica letteraria, ma che eprimono un concreta e complessa verità.

"He was writing lists of words. He was writing lists of words that resisted arrangement into the sentences of literary criticism or theory. He had hopes - more, intimations of imminence - of writing poems, but so far had got no further than lists. These were, however, compulsive and desperately important. He wrote: anemone, coral, coal, hair (...) Arrow, bough (not branch or root) (P.431)

("Lui stava scrivendo elenchi di parole. Stava scrivendo elenchi di parole che resistevano a ogni sistematizzazione nelle frasi della critica o della teoria letteraria. Nutriva speranza - piuttosto, presagi di possibilità - di srivere poesie, ma finora non era andato al di là degli elenchi. Scriverli, tuttavia, era un impulso irresistibile e disperatamente importante (...) Scrisse: anemone, corallo, carbone, capelli (...) Freccia, frasca (non ramo nè radice).") (Poss.431)

     Le parole di questi elenchi sembrano sfuggire al principio analogico e "agglutinante"che dominava le valutazioni dei protagonisti all'inizio della vicenda: l'anemone, per esempio, aveva costituito il fulcro di una serie di analogie tra guanti, orifizi umani, dita di giganti, mentre ora acquista un valore autonomo. Da immagine inserita in una catena di somiglianze, diventa singola parola, singola combinazione tra le percezioni di un individuo e il linguaggio.

Atoms of the chaos

     In Possession, la descrizione degli elenchi di parole sembra riecheggiare ancora un volta il saggio che A.S.Byatt dedica a Van Gogh: la scrittrice cita e commenta infatti un brano di una lettera del pittore che sembra cosituire un parallelo diretto alle liste di Roland.

" 'We can paint an atom of the chaos, a horse, a portrait, your grandmother, apples, a landscape' When Van Gogh is feeling for his certainty about the importance of representation without a system he becomes eloquent about colour as though there was the clue o the truth he grasps. (...) Van Gogh ideas about colour were derived from the discoveries of Chevreul about complementary colour in the 1820s (...) he writes of his own attempts to combine complementary colours as the depiction of the union of two lovers." (Passions 301-2)

("Possiamo dipingere un atomo del caos, un cavallo, un ritratto, tua nonna, delle mele, un paesaggio' Qunaod Van Gogh sente l'importanza della rappresentazione al di fuori di un sistema diventa eloquente riguardo il colore come se fosse lì la chiave per la verità che afferra (...). Le idee di Van Gogh sul colore gli derivavano dalle scoperte fatte da Chevreul negli anni 1820 (...) (Van Gogh) scrive dei suoi tentativi di combinare colori complementari descrivendoli come l'unione di due amanti.")

Van Gogh, come Roland, sa di poter cogliere della realtà solo dei particolari, dettagli non inscrivibili in un sistema precostituito e per questo reali. Le parole, come gli elementi della lista di Van Gogh, cosituiscono una combinazione di aspetti opposti e complementari che non devono essere annullati all'ombra di una superiore visione totalizzante. Come la pittura non può diventare rappresentazione oggettiva della realtà, così le parole conservano la traccia personale di chi le ha scelte. Nel saggio "Sugar/Le Sucre", A.S.Byatt afferma esplicitamente di essere arrivata ad accettare che le parole combinino un aspetto impersonale, universale con uno soggettivo, singolare, così infatti ci parla della genesi del romanzo Still Life:

"I do believe language has denotative as well as connotative powers. When my father was dying I wrote Still Life, which I had intended should be a bare precise novel, telling things (...) without metaphor or analogy. A leitmotif in that novel was Vincent Van Gogh's painting of the yellow chair, which I took at first as a work of art which was made for the pure pleasure of exact mimetic knowledge - the chairness of the chair, the colour, the form. Later, of course, one discovered cultural and personal connotations" (Passions 24-5)

"Sono convinta che il linguaggio abbia poteri sia denotativi che connotativi. Quando mio padre stava morendo ho scirtto Still Life ("natura morta"), che intendevo dovesse essere un romanzo grezzo e preciso, che diceva le cose (...) senza metafore o analogie. Un leitmotiv in quel romanzo era il dipinto di Van Gogh della sedia gialla, che avevo considerato in un primo momento come un'opera d'arte fatta per il puro piacere di una conoscenza esatta e mimetica - l'esser sedia della sedia, il colore, la forma. Più tardi, naturalemente, si scoprono connotazioni peronali e culturali.") 

Roland accetta infatti di scrivere parole che esprimano "la sua voce", che mostrino un aspetto simbolico,(NOTA a rilevanza di aspetto simbolico Passions323)* individuale e che si oppongano quindi al linguaggio inequivocabile, olofrastico cui aspiravano i personaggi all'inizio del libro. A.S.Byatt parla infatti delle liste di parole che inserisce alla conclusione del romanzo Still Life come di "piccole metafore","small metaphors" che rappresentano la relazione tra le parole e le cose.

"I'd like to end by offering you a kind of happy discovery I made when I decided to include in the text a list of names of grasses(...)
Gastridium - nit-grass - from gastridion, a little swelling
Panicum - Panick-grass - from panis, bread (...)
These names are all small metaphors - human perceptions,the nit (...) I like panik particularly. I see the grass both quaking with fear and providing wheat-ears for bread (...) these names - differentiations, Adamic names(...) - these names stand to me for the relations of words to things, inventive, imprecise, denotative, practical, imagined. (...) They are so because of their local metaphoric nature." (Passions, p.20)

("Vorrei concludere offrendovi una specie di felice scoperta che feci quando decisi di includere nel testo un lista di nomi di piante d'erba.
Gastridium  - l'erba delle uova di pidocchi - da gastridion, un piccolo rigonfiamento.
Panicum - l'erba del panico - da panis, pane (...).
Questi nomi sono tutti piccole metafore - percezioni umane. Mi piace l'erba del panico particolarrmente. vedo l'erba sia trenare di paura che offrire spighe di grano come pane (...) questi nomi_ differenziazioni, nomi adamici (...) - questi nomi rappresentano per me la relazione tra le parole e le cose, inventiva, imprecisa, denotativa, pratica, immaginata(...). Sono così per la loro locale natura metaforica.")

(Nota il Gastridio è un genere di piante delle graminacee la cui spiga ha una caratteristica forma panciuta.v. Devoto oli)

Creatività , libertà e poetic balance

 Roland combina quindi un aspetto denotativo ed uno connotativo, uno universale ed uno singolare, uno mimetico ed uno simbolico; grazie  a questo nuovo atteggimento creativo il protagonista accetta l'irriducibile complessità della realtà e va incontro a quella che il narratore chiama una "liberazione". La libertà che Roland sente di aver conquisato non viene presentata come una autoaffermazione che si oppone alle figure del passato e alla tradizione, ma al contrario coincide con la conspevolezza del proprio ruolo all'interno di quella realtà e di quella storia. Tale atteggiamento sembra echeggiare la concezione della libertà alla quale porta la formazione psicoanalitica. Massimo Recalcati, a proposito del rapporto tra Heidegger, Nietzsche e Lacan, in relazione alla questione della libertà, scrive: 

"Due riferimenti filosofici si situano qui come riferimenti fondamentali della posizione che Lacan sembra attribuire alla libertà. Uno riguarda Heidegger e l'altro Nietzsche. (...) Ciò che in essi si rivela vicino al pensiero di Lacan è l'idea di porre il problema della libertà non tanto a partire della forza della volontà, dalla dimensione autorale e creatrice del soggetto, ma quanto in quella di una sua deposizione originaria. La libertà, come chiarisce [Lacan] (...) non è infatti un movimento di affermazione ma piuttosto di assunzione. (...) Assumere dunque  non tanto  la libertà come tale ( in fondo questa sarebbe la prospettiva di un esistenzialismo ingenuo) ma la causalità. Non tanto la libertà ma la mancanza di libertà. Non tanto la libertà  ma l'assenza di fondamento che essa implica. Alla radice della libertà incontriamo infatti sia in Nietzsche che in Heidegger qualcosa che non ha affatto la natura della libertà quanto piuttosto quella dell'incatenamento, del vincolo, del laccio." (Rec: 1995, 192)

Roland, entrando nei cerchi del linguaggio, accettando fino in fondo la radicale estraneità dell'universo che lo circonda, si libera dal pessimismo e dal senso di "belatedness" che lo aveva dominato, aprendosi così, paradossalmente, ad una vita più libera.

"He had been taught that language was essentially inadequate, that it could never speak what was there, that it only spoke itself.
He thought about the death mask. He could and could not say that the mask and the man were dead. What happened to him was that the ways in which it could be said had become more interesting than the idea that it could not" (P. 473)

("Gli era stato insegnato che la lingua era intrinsecmente inadeguata, che non vrebbe mai potuto dire ciò che era, che non esprimeva che se stessa.
Pensò alla maschera mortuaria. Poteva e non poteva dire che la maschera e l'uomo fossero morti. Era accaduto che per lui i modi in cui si poteva dire erano diventati più interessanti dell'idea che non si potesse." (Poss. 470)

Roland va oltre uno sterile nichilismo per rapportarsi in modo creativo alla realtà. La concezione di creatività che ne risulta rimanda direttamente ad un brano dello psicoanalita Charles Rycroft che A.S.Byatt cita in "Charles Rycroft: The Innocence of Dreams"

"He describes the creative person as one who 'lacks that sense of opposition between their Ego and both the outside world and their own unconscious...', someone who, neither identifying masculinity with action, nor femininity with passion, 'can oscillate between active and passive states of being, between objectivity and subjectivity, without feeling that their identity is threatened?. With an ego so relaxed and unarmored, such people can mediate between their private symbols and those of their culture." (Byatt: 1993, 291)

("Descrive la persona creativa come qualcuno che 'manca del senso della opposizione tra il proprio Ego e sia il mondo esterno che il proprio inconscio (...)', come qualcuno che, non identificando la mascolinità con l'azione, e la femminilità con la passività, 'può oscillare tra uno stato passivo e uno attivo, tra l'oggettività e la soggettività, senza per questo sentire  minacciata la propria identità'. Con un ego così rilassato e scoperto, queste persone possono mediare tra i loro simboli privati e quelli della loro cultura.")  

Alla fine del romanzo Roland mostra quindi di aver acquisito quella difficile capacità di mediare, di "bilanciare", quella "creative or poetic balance" che A.S.Byatt ritiene una meta fondamentale per ogni uomo e che ritrova in  Van Gogh, Rilke, Stevens, Freud.

Voci singole

L'esperienza di grandi intellettuali ed artisti sembra così riecheggiare in quella di Roland e darne un significato al tempo stesso particolare ed universale. Ogni uomo, nel corso della sua formazione, è portato ad accettare la propria libertà, il proprio ruolo in rapporto alla realtà, alla tradizione, alla storia, al linguaggio; allo stesso tempo ogni uomo raggiunge questa meta attraverso un percorso diverso: Roland, come Ash - all'interno di Possession - o come Van Gogh o Stevens o Rilke ha attraversato esperienze particolari attraverso le quali è potuto cambiare solo in un modo particolare. In una delle sue considerazionei finali Roland afferma, infatti, di aver trovato in Ash non tanto una risposta alla propria vita, quanto invece la spinta  a cercare, ad accettare la "dura idea della verità":

"What Ash said - not to him specifically, there was no privileged communication(...)- was that the lists were the important thing, the words that named things, the language of poetry." (P.473)

("Ash stava dicendo - non a lui in particolare, non c'era alcuna comunicazione privilegiata (...)- che erano gli elenchi la cosa importante, le parole che nominavano le cose, il linguaggio della poesia.") (Poss. 471)

Il valore centrale di queste riflessioni appare poi ancor più chiaro se si considera il rilievo che considerazioni analoghe assumono nell'appello ai lettori: il narratore richiama infatti direttamente l'attenzione di chi legge sul proprio rapporto con il libro che ha sotto gli occhi, sulle aspettative che può aver nutrito nei confronti dell'autore, e trasforma così le considerazioni dei personaggi sulla autonomia, sulla creatività in riflessioni che coivolgono ed interrogano singolarmente ogni lettore.

"Think of this - that the writer wrote alone, and the reader read alone, and they were alone with each other. True, the writer may have been alone also with Spenser's golden apples in The Faerie Queen, (...)may have seen in his mind's eye, apple of his eye, the golden fruit of the Primavera (...) He was alone when he wrote and he was not alone then, all these voices sang, the same word, golden apples, different words in different places, an Irish castle, n unseen cottage, elastic-walled and grey round blind eyes." (P.471)

"Pensateci - lo scrittore era solo quando scriveva, e il lettore era solo quando leggeva, e sono stati soli l'uno con l'altro. E' vero, lo scrittore può essere stato solo anche con le mele d'oro di Spencer in The Faerie Queen, (...)può aver visto con l'occhio della mente, pupilla del suo occhio, il frutto dorato della Primavera(...) Era dunque solo quando scriveva, e non lo era, tutte quelle voci cantavano, le stesse  parole, mele d'oro, parole diverse in luoghi diversi, un castello irlandese, un cottage nascosto, dai muri elastici e grigi intorno ad occhi ciechi" (Poss.469-70)

 Ricompaiono così alla fine del libro le mele d'oro, il simbolo della parola poetica, che in questo nuovo contesto assume un significato più generale. Le mele d'oro erano, per il vittoriano Ash, il modo per dire il potere della poesia di creare ed incarnare una sintesi umana tra le parole e le cose; ma le stesse mele d'oro rappresentano anche  il diverso rapporto che Roland ha con il linguaggio e la realtà. Le mele d'oro acquistano così, alla conclusione della vicenda, il significato della parola creativa: sempre nuova eppure sempre la stessa, sempre singolare e diversa eppure sempre uguale ed universale. Le mele d'oro cositituiscono così un sorta di filo conduttore e di simbolo chiave dell'intero romanzo e mostrano la combinazione tra universale e singolare cui ogni uomo dovrebbe aspirare nel corso della propria formazione.(Recalcati, 1995, passim)

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