mar. 20 maggio 2008>
Oggi, all’uscita dal ristorante sotto le due torri (quelle autentiche che durano da secoli), sono passato nel negozietto accanto dove vendono oggetti di tutti i tipi al prezzo di 99 centesimi. E’ un posto simpatico e ben gestito dove la varietà della merce spazia dai fiori ai portacchiavi, dalla cancelleria alla piccola utensileria e molto altro. L’attrattiva più interessante non è data dalla enorme varietà, ma dal fatto che si rinnova continuamente, anche seguendo i ritmi stagionali: i capelloni di paglia da pittrice open air al posto dei berretti da neve di maglia, per esempio.
Il personale che si avvicenda alla cassa e che rinnova la merce sugli scaffali, tutto rigorosamente nostrano, è molto efficiente e, cosa ancora più rara ormai, simpatico. Insoma vale un giretto di cinque minuti, anche senza comprare nulla, godendosi le chiacchiere rapide, ma rilassate degli avventori alla cassa.
Oggi riscuoteva i soldini un signore con i capelli bianchi, un tipo cordiale, un simpatico da tutta la vita che, con il passare degli anni, non si è spento o inacidito. Al mio turno mi ha chiesto, come agli altri che mi avevano preceduto, se gradivo una sportina di plastica. Al mio grazie, mi ha chesto se era un grazie sì o un grazie no. Approfondendo al volo l’argomento ho saputo che esitono i GRAZIE NO! ideologici, di quelli che non vogliono proprio contribuire alla catastrofe del pianeta accettando un sacchettino di plastica: il demonio inquinatore.
Ripensandoci, mentre tornavo a riprendere la moto, in larga misura fatta di plastica (sia benedetta la sua leggerezza), mi è sembrata una storia fantastica. I due oggetti che ho comprato oggi per un euro e 98 centesimi, sacchetto compreso, sono un piccolo monumento alla duttilità, efficienza ed economicità della plastica di cui io sono da sempre un gratissimo estimatore. Si tratta di un robusto astuccio per alloggiare ordinatamente 40 cd, al riparo da polvere e graffi ed in pochissimo spazio, che avrà ragione dell’ingombro e del disordine attuale dei cd sparsi nei ripostigli dell’automobile e di quattro attrezzi da cucina leggeri, silenziosi e delicati sui rivestimenti di teflon di padelle e tegami.
Quando sento gli anatemi di questi nuovi taliban anti-plastica non posso evitare di pensare ai pesantissimi secchi di ferro zincato che si tenevano fra le ginocchia durante la mungitura o per pescare l’acqua dal pozzo: un solo secchio pieno era il massimo trasportabile a due mani da un bambino come me, sempre che il percorso fosse breve.
Ricordo anche una notte insonne, da ragazzo ad Amsterdam, funestata per ore dal frastuono delle operazioni di scarico delle gabbie di ferro da dodici bottiglie di vetro del latte. Solo chi non ha vissuto prima della rivoluzione che la plastica ha introdotto, silenziosamente e umilmente, nella nostra vita può demonizzarla rifiutando ipocritamente un sacchettino per trasportare gli oggetti di plastica che ha appena comperato.
Come sempre, bisogna evitare gli eccessi e gli abusi. E’ intollerabile l’inutile prevalenza in peso o costo delle confezioni di medicinali, piccoli oggetti, alimenti e bevande. Insomma, anche con la plastica non bisogna esagerare, ma per raddrizzare il timone non servono i fondamentalismi ideologici e i vade retro satana di questi improvvisati salvatori del mondo. Demonizzare è sempre stata una brutta abitudine e tale rimane anche se applicata ai poveri sacchettini da un grammo.