Smarriti a Bologna 3 zampognari a pelo corto. Ricompensa a chi li riporta a casa loro

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Anche quest’anno sono ricomparsi, immutabili nel loro travestimento anacronistico da pastori di cartapesta, gli zampognari di Natale. I kamikaze della zampogna e del piffero montanaro se ne scendono a valle da montagne remote, forse inesistenti, e, in mancanza di un presepio dove collocarsi di profilo, ristagnano sotto i portici ripetendo all’infinito la stessa nenia monocorde e mezza stonata di sempre: tiro tiru tiròro tiru…

Forse perchè annunciano il Natale che io detesto, o perché suonano così male o perché sono così fasulli dalla testa ai piedi o perché li associo alla brutta stagione, m’immalinconiscono da morire, come il buio precoce di queste giornate senza colore e non vedo l’ora che siano di nuovo inghiottiti da quel buco nero, da cui sgorgano anche le stupide zucche di Halloween.

Mai che passi sotto le finestre una bella banda scatenata di New Orleans, altrettanto anacronistica e incongruente con la mia città, ma mille volte più spassosa, allegra e travolgente.
Una sola volta mi è capitato di sentire sotto i portici di via Zamboni una jazz band con i fiocchi: erano i pazienti del Roncati, l’ospedale psichiatrico, che manifestavano allegramente il loro dissenso sotto il palazzo della provincia, contro una minacciata angheria che stava per abbattersi su di loro.
Ci vogliono degli autentici matti patentati a piede libero perché si possa ascoltare della buona musica da strada.

Nell’immagine ho collocato arbitrariamente gli zampognari in uno dei piccoli archi al primo piano di un chiostro del complesso monastico di S. Stefano a Bologna. Scatenatevi pure, ragazzi, che i benedettini sono pazienti.

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