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La parola originaria

All'inizio della loro formazione i personaggi degli studiosi hanno nei confronti degli autori che li hanno preceduti un rapporto quasi di ossequioso rispetto e devozione. Randolph Henry Ash e Christabel LaMotte assumono ai loro occhi il valore di numi tutelari, di modelli assoluti di vita e di conoscenza. I ricercatori si rispecchiano in queste figure esemplari cercando di identificarvisi, di incarnarne le caratteristiche (in particolare Beatrice, Maud e Cropper) come se grazie ai loro corpi e alle loro parole gli spiriti degli scrittori passati potessero mantenersi in vita. Lo strumento di questa sorta di "reincarnazione" - o piuttoso di "preservazione" degli spiriti degli scrittori passati dalla morte nell'oblio - è  principalmente il linguaggio che assume  la funzione di offuscare le distanze e le diversità che li dividono. In quest'ottica di riconduzione ad un mondo senza tempo nè differenze, si spiegano la tendenza a confondere le singolarità delle opere in una "marmellata" omogenea e l'opera di sminuzzamento dei testi in dettagli che non possono più rappresentare l'unità particolare di cui erano parte. Il linguaggio tende così a farsi assoluto, a privilegire la dimensione universale rispetto a quella particolare, a privilegiare l'aspetto denotativo a quello individuale connotativo. Il linguaggio aspira a farsi parola originaria, ma è proprio di questa parola assoluta che Roland e Maud devono nel corso della loro formazione accettare l'inestistenza. Grazie infatti al ritrovamento delle lettere e agli sconvolgimenti che ne derivano, alla fine del romanzo i due protagonisti sono costretti ad ammettere la solitudine,  precarietà e impotenza anche degli scrittori che erano apparsi ai loro occhi  figure esemplari e fuori dal tempo; Roland e Maud sono cioè costretti ad accettare l'inesistenza di quel linguaggio, di quel mondo originario ed esemplare cui avevano voluto credere e nel quale avevano cercato rifugio.  

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