Un carnevale da sballo

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carnevaleIeri, martedì grasso, alle tre del pomeriggio ho attraversato piazza maggiore, senza nessuna buona intenzione carnevalizia. Era semplicemente la strada più breve e la più abituale per andare, a piedi, da casa all’istituto di ricerca dove ho lavorato per anni e dove ero stato chiamato per un intervento di pronto soccorso sul server della rete interna, il “mio” server.

Da un palco posticcio, allestito sul sagrato di San Petronio, un vocione caldo e pastoso, ad un volume superiore a quello di dio in persona sul Sinai, rincuorava i bambini, promettendo che sarebbe presto arrivato e che il tecnico accanto a lui stava mettendo tutto a posto. Non ho capito chi o cosa dovesse arrivare o essere ripristinato, ma ho avuto l’impressione che il cordialone al microfono fosse il solo consapevole del disguido, o ritardo. I pochi bambini, con il corredo di un genitore a carico, si aggiravano per la piazza quasi vuota, distrattamente, in attesa di un pretesto per liberarsi dei coriandoli o per svuotare le anemiche bombolette filogenetiche.

Qualcuno aveva il costumino obbligatorio e la faccetta un po’ pitturata con il rouge della mamma; poche le mascherine di cartone; un tigrottino di cinque o sei anni, già stanco, si allontanava dai divertimenti sfrenati acciambellato sul collo del babbo, come gli agnellini delle statuette da presepio.

Chiaramente il clou della festa doveva ancora arrivare, mi sono detto; infatti, attaversando l’incrocio centrale, ho visto in lontananza il poetico trattore, capofila dei carri mascherati, che stava risalendo via Indipendenza.

Un’ora dopo, risolti i problemi della rete che mi avevano richiamato nel mio vecchio santuffizio, sono ripassato dalla piazza. Tutto finito. Il carnevale era già passato, lasciando la sua malinconica bava, stratificata di coriandoli comunali e stelle filanti, che le spazzatrici meccaniche comunali, come avvoltoi, avevano già adocchiato e, volteggiando in giri e rigiri, si accingevano a ghermire e ingurgitare per mezzo di larghe fauci, baffute di spazzole rotanti.

Ai margini, sulle poche bancarelle, i venditori riponevano le pile di cappelli di cartone e le spade d’oro di Zorro invendute e, con qualche indecisione, i sacchettoni trasparenti di coriandoli inesplosi. Dalla faccia, si capiva che erano tentati dalla voglia di buttarli direttamente per terra.

Quella mezz’ora di fuoco deve essere stata uno sballo colossale, però.

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