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L'immagine è un particolare del dipinto del 1435 "Paradiso e inferno" del pittore bolognese Maestro dell'Avicenna. Si trova nella Pinacoteca nazionale di Bologna
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) lun 12 maggio 2014 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
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Tornando a casa dopo aver pranzo fuori in una gradevole giornata di sole, abbiamo deciso di andare a cercare Santa Apollonia di Mezzaratta lungo la ripida salita dell’Osservanza, celebre, quando ero ragazzo, per provare le capacità arrampicatrici delle moto. “Va su per l’Osservanza in seconda, senza tirarle il collo” era un buon voto per una moto leggera di allora. A metà della salita, mezza (t)ratta è questo che significa, abbiamo guardato a destra e a sinistra, ma niente da fare. Non l’abbiamo trovata. Ci riproveremo per vedere cosa è rimasto di uno dei tesori del gotico bolognese dopo lo stacco degli affreschi di Vitale da Bologna e Simone dei Crocefissi: fra i maggiori maestri del trecento bolognese. Quanto rimane degli affreschi e delle sinopie dopo lo stacco è ora ospitato molto degnamente nella pinacoteca nazionale di Bologna dove è stato riposizionato con diligenza in un ambiente che riproduce fedelmente quello originale di Mezzaratta. Purtroppo gli affreschi sono molto rovinati e in larga misura perduti. Quanto rimane è sufficiente per far rimpiangere amaramente la rovina in cui è caduto questo capolavoro. Sull’argomento ritornerò più ampiamente e in modo più documentato. Per consolarci del mancato ritrovamento, ci siamo tuffati alla ricerca dell’eremo di Ronzàno attraverso le strette stradine dei colli bolognesi, meno battute, per fortuna, di quelle fiorentine, ma non meno gradevoli.
Frequentato fin dall’età del ferro e poi da Etruschi e Romani, ora è un piccolo complesso abitato da una sparuta comunità religiosa cattolica: i servi di Maria. In una bella giornata di primavera è un paradiso silenzioso e profumato: imponenti querce secolari, castagni, allori, oleandri, pitosfori in fiore, monumentali cipressi mediterranei in duplice filare e, dovunque, morbidi declivi di prati fioriti di margheritine. Fin troppo! In compenso la chiesa è una struttura modesta con affreschi parietali (vedi foto sopra) in gran parte perduti e di qualità non superba, giudicando da quanto è rimasto. Il portone era spalancato per fare entrare l’aria tiepida e il sole e sconfiggere l’umidità, subdolo nemico di pietre e dipinti. Nessun umano in vista: ottimo! Riprendendo l’auto, siamo riusciti a rientrare a casa restando sempre in quota su deserte strade collinari, evitando il traffico cittadino, in agguato poco sotto.
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mer 07 maggio 2014 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Il problema della notte successiva ad un film che attribuisce un ruolo importante ad un animale e ricordarsene il nome. Naturalmente non sto parlando di Lassie o di Rex: i cani che compaiono addirittura nel titolo, ma quello di cavalli, tori ecc. importanti, ma non troppo. Per qualche strano meccanismo, al risveglio del mattino dopo il film, comincio a rimuginare per cercare di riconquistare il nome del maledetto animale. E’ il caso di Corinto, il toro del film di Mazzacurati che non sono mai riuscito a vedere per intero perché troppo ansiogeno per i miei gusti, o di Pilgrim il cavallo sopravvissuto a stento ad un incontro troppo ravvicinato con un TIR.
Redford, regista, produttore e attore protagonista di “L’uomo che sussurava ai cavalli”, che ho rivisto per la prima volta dall’inizio ieri sera, sussurra alcune volte nel corso della prolissa storia il nome dello sfortunato equino, ma vattelo a ricordare il mattino dopo, al risveglio o, anche più comodamente, dopo caffè e bagno. Niente da fare. Per fortuna c’è Wikipedia, “sia benedetta la sua mano”, che a differenza di Mymovies, non si sbilancia su giudizi critici, ma è servizievolmente precisa nel raccontare la trama, compresi i nomi&cognomi di eventuali bestioni presenti. Come faremmo a ritrovare la pace mentale senza “Wiki”, per gli amici?
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) lun 05 maggio 2014 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Il primo Maggio, a distanza di circa sei anni, siamo tornati a Castelvetro e, questa volta, ci siamo fermati a mangiare in piazza dove hanno aperto un caffè-ristorante proprio di fianco alla chiesa del borgo alto che io vedevo quotidianamente a inizio carriera quando ricevetti l'incarico annuale d'insegnamento alle scuole medie di quel gradevole paesino pedemontano modenese. Ho già parlato di quella simpatica esperienza in un mio precedente blog e non voglio ripetermi. Se vuoi, puoi leggerlo qua . La giornata era bella e i pochi tavoli all’aperto si sono presto riempiti di gitanti che avevano raggiunto l’isola pedonale salendo a piedi in abiti primaverili o mascherati da ciclisti della domenica su costose biciclette da montagna. Dopopranzo, visitate le toilettes pretenziose del bar “L’eglise” (sic) in stile giovanilistico-barocco, siamo entrati anche nella chiesa pseudo-gotica di fine ottocento, caratterizzata da enormi colonne, del tutto sproporzionate al compito di sorreggere gli archi acuti delle tre navate, di normali proporzioni paesane.
Tuttavia, la cosa più notevole dell’interno non sono le colonne gigantesche, ma il manifesto affisso bene in vista vicino al portone centrale che aiuta il visitatore a calarsi nell’autentica atmosfera del luogo.
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) ven 02 maggio 2014 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)