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sab 26 maggio 2012  Biciclette reclinabili a Bologna

Oggi, durante la chiusura alla traffico della cosiddetta T di Bologna - la zona centrale della via Emilia e di via Indipendenza - un venditore di biciclette reclinate, ha approfittato della situazione per mostrare alcuni esemplari ad un pubblico di passanti curiosi, come me, che potevano anche provare queste strane biciclette, pensate soprattutto per un turismo su piste ciclabili, piuttosto che per il traffico cittadino.
Per la prima volta, io ne avevo visti due esemplari nelle isole Aran, dell'arcipelago irlandese. In quel caso, una coppia di cicloturisti le aveva traghettate per percorrere i sentieri dell'isola che si prestano molto ad un turismo ciclistico, oltre che pedonale. Non direi che la città di Bologna, così come la stiamo vivendo ora, si adatti alle biciclette reclinate e, per la verità, neanche alle normali bici che noi emiliani, usiamo fin da bambini. Bologna non è Ferrara, purtroppo.
È stato comunque piuttosto interessante vedere alcuni giovani ardimentosi sperimentare queste biciclette dall'aspetto così diverso dalle solite per l’assetto sdraiato che, sicuramente, può essere confortevole e adatto per calmi spostamenti in pianura, portandosi dietro anche un modesto bagaglio in capaci borse da collocare sotto e dietro il sedile che non può certo essere più chiamato sella, viste le dimensioni e la sua stessa struttura.
bici reclinata
La partenza da fermo richiede una decisa pedalata per vincere il timore di cadere a terra, anche se si è dei ciclisti abituali ed esperti. Era abbastanza curioso, infatti, assistere al numero di tentativi falliti che precedevano il glorioso decollo ed il divertito breve giretto fra pedoni incuriositi dall’insolito mezzo a due ruote. Sia per il costo, fra i 1000 € e i 3000, sia per la necessità di riconvertirsi ad un modo nuovo di pedalare e guidare la bicicletta non mi sembra che una diffusione di massa sia imminente, tuttavia è sicuramente un mezzo divertente e simpatico per un turismo tranquillo e, forse, riposante. Se avesse un prezzo più popolare, me ne comprerei una anche io.



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) sab 26 maggio 2012   Invia un commento all'autore
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ven 25 maggio 2012  Nonni stagionali

Oggi pomeriggio, tornando a casa dalla biblioteca a piedi, come al solito, mi è saltato addosso il caldo. Sporadiche ed inconcludenti avvisaglie dell’estate c’erano già state, ma era troppo presto perché fossero credibili. Oggi, invece, alla fine di maggio la faccenda sembra diversa. Per fortuna, mi tocca dire, pensando ai miei conterranei più sfortunati che ancora dormono in macchina o nelle tende, sloggiati di casa da questo maledetto terremoto che non finisce ancora.
Per me che ho la fortuna di vivere alla periferia del sisma non è che cambi molto, per ora, ma la stagione di bici, braghe corte, maglietta e nipotini in casa al mare si avvicina.
In questi ultimi anni, da quando è iniziata anche la mia stagione finale, sono diventato un nonno stagionale. Come gli africani, che arrivano qui per raccogliere la frutta quando viene il caldo, anche io cambio paese e occupazione. Dalla grande casa vuota di città dove ormai viviamo solo noi due vecchi gatti, ci si trasferisce nella casa al mare dove arrivano i nipotini da badare. Quest’anno saranno le due bimbe che vivono a Parigi durante l’anno scolastico.
Anche per loro  l’arrivo dell’estate è una rivoluzione: passare dall’appartamento al quinto piano nel Marais alla villetta con giardino e piscina, a pochi passi dal mare Adriatico – il più domestico e bonaccione dei mari – è un salto fantastico. Non da meno è il passare dalla gestione dei genitori a quella dei nonni, liberi dai quotidiani obblighi e ritmi scolastici. Una vita senza sveglia, insomma, che mi ricorda come vivevo io la fine della scuola da bambino.

Occhiobello

Anche per loro spero che il passaggio sia vissuto con la stessa gioia e impazienza che avevo io, quando prendevo il primo treno utile dopo la campanella della lectio brevis che annunciava la fine dell’anno scolastico. Allora il viaggio da Roma. dove abitavo, a Carpi, base di partenza delle lunghe vacanze estive di campagna, mare e montagna, durava quasi sei ore che volavano, in attesa di vedere finalmente, dopo le lunghe gallerie buie nella pancia dell’Appennino, la placida pianura senza orizzonte che consideravo casa mia.
Il passaggio dall’elettrotreno - il “direttissimo” che proseguiva per Milano - alla locomotiva a vapore che, sbuffando ritmicamente sul quarto binario, attendeva i quattro gatti che proseguivano per Carpi-Suzzara-Mantova era sempre un’emozione, stemperata dall’annuncio “Per Caarpisussaramantova si cambia” pronunciato con quella modenese lentezza strascicata, inevitabilmente comica, per un bambino che aveva ancora nell’orecchio il romanesco dei compagni di scuola.
Anche dal punto di vista linguistico, il tuffo nel nostro mare in compagnia dei nonni italiani, deve essere notevole per le due bimbe francesine, bilingue la maggiore e ancora infante la piccola. Chissà se, da adulte, ricorderanno con affetto le estati italiane con i nonni, come io ricordo le mie con la zia. Purtroppo temo di arrivare fuori tempo massimo per saperlo.



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) ven 25 maggio 2012   Invia un commento all'autore
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gio 24 maggio 2012  A tambur battente

“A tambur battente”. Proprio così gli avevano detto. Era la prima volta che la sua solerzia di galoppino veniva spronata con quella frase, invece che dallo scontato “… e sbrigati!” o da più arzigogolate allusioni derisorie alla sua calma imperturbabile. Il primo risultato fu di bloccarlo completamente in un’analisi senza scampo della frase nello spogliatoio in fondo al capannone, suo abituale rifugio quando l’aria in giro era troppo elettrica.
Esattamente cosa voleva dire “A tambur battente”? Di corsa, al ritmo dei tamburi come i bersaglieri? Lui della fanfara dei bersaglieri ricordava solo le trombe, ma non si sentì di escludere anche tamburi battenti, nelle retrovie.
Quindi il padrone, che poi era suo zio, gli aveva voluto dire “di corsa”, né più né meno, ma donde sbucava quella novità militaresca?
L’imputata più probabile era la televisione. Altro che scerscè la fam come dicevano i francesi; un telefilm in costume all’ora di cena doveva essere il responsabile. Per forza, in fabbrica c’erano solo normali analfabetoni che non avrebbero potuto pronunciare una frase del genere neanche sotto tortura, e le abitudini nottambule della zio non si spingevano oltre le nove, salvo partite della nazionale; quindi niente dibattiti e film impegnativi.


Un romanzo in carta e ossa era ancora più improbabile: lo zio era astemio in fatto di letture e non si lasciava corrompere neanche durante la messa di Natale, quando tanti virtuosi come lui facevano finta di leggere il messale, per una volta.
La tentazione di andare a cercare un radiocorriere, per scoprire il titolo dello sceneggiato della sera prima e accertarne la colpevolezza era grande, ma sull’istinto prevalse il buon senso: rovistando con calma nel ciarpame del ripostiglio trovò due bacchette di fortuna, uno scatolone su cui battere e un canestrino da mettere in testa: un bersagliere senza cappello era improponibile. Alle penne di gallo dovette rinunciare, ma così bardato entrò trionfalmente fra i bancali dove gli operai, giustamente, interruppero le loro prosaiche attività per tributagli tutta l’attenzione dovuta.
Più a tambur battente di così non si poteva pretendere da un fattorino.



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) gio 24 maggio 2012   Invia un commento all'autore
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mer 23 maggio 2012  Pensare non è sapere

  • Pensare non è sapere.
  • Filosofico oggi?
  • Non so. E' una frase che ho sentito in un caffè passando vicino ad un tavolo di tresette.
  • Niente Kierkegaard, Platone o Sarchiapone, allora.
  • No, chi l'ha pronunciata si rivolgeva ad un compagno di partita che mungeva tutte le carte che aveva in mano prima di giocarne una, finalmente.
  • Una garbata manifestazione d'impazienza, insomma.
  • Garbata, dici? Certo rispetto ad un insulto diretto, lo è, ma se ci pensi...
  • In definitiva gli detto: "Su, gioca!"
  • Sì, però ha voluto anche dirgli che tutto il tempo che si prendeva non era il prodotto di una superiore capacità di analisi approfondita, ma...
  • ... al contrario, di banale lentezza di comprendonio.
  • Sì, appunto, gli ha detto guarda che qui nessuno crede che tu stia valutando dodici soluzioni possibili, prima di scegliere l'ottima, come un campione di scacchi
  • Secondo te gli ha dato del tonto, allora...
  • ... o del lentigrado palloso e indeciso cronico. Ci sono scemi spavaldi che non ci pensano un attimo prima di combinare una corbelleria.
  • Allora? Dove mi vuoi portare?
  • Da nessuna parte. Ho sentito questa frase isolata mentre passavo per caso uscendo dal caffè e continua a ronzarmi in testa. Tu cosa ne pensi?
  • Be' si può costruire un romanzo partendo da uno sternuto, ma tu cosa vuoi sapere, pensando e ripensando ad una battuta da osteria?
  • Non so; vedi che quel tizio aveva ragione: "Pensare non è sapere".



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mer 23 maggio 2012   Invia un commento all'autore
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mar 22 maggio 2012  Aveva un diavolo per capello

Aveva un diavolo per capello anche se era completamente calvo. Le due cose sembravano in netta contraddizione, ma non era così. La sua era una condizione psicologica, uno stato d'animo e non dipendeva dalla stato del suo cuoio capelluto. Resta il fatto che, quando entrò nel bar per prendere un cappuccino, darsi una calmata e telefonare a casa per chiedere che qualcuno lo venisse a prendere perché era rimasto a piedi, calvizie o no, era molto alterato.
Aveva lasciato la sua auto regolarmente in doppia fila per procurarsi un giornale all'edicola e si era trattenuto un paio di minuti a chiacchierare con una giornalaia particolarmente cordiale e chiacchierona - una bella ragazza, tra l'altro - e questo era stato sufficiente perché la sua auto sparisse.
Le chiavi le aveva in tasca ed era sicuro di avere chiuso lo sportello, anche se non era ben certo di avere schiacciato il bottoncino giusto per la chiusura elettrica della portiera. Come avevano fatto a farla sparire in un così breve lasso di tempo gli sembrava un mistero. C'erano solo due possibilità: o un ladro, svelto come un gatto, era già pronto a fiondarsi dentro la sua macchina appena se ne era allontanato, oppure un maledetto carro attrezzi della polizia urbana aveva agganciato la sua Alfa con una prontezza funambolica, già in agguato dietro l'angolo, in attesa del solito furbacchione che parcheggiava a casaccio per andare dal giornalaio. Al barista che lo guardava con aria interrogativa, vedendolo furente senza apparente motivo, diede una laconica spiegazione: "Mi hanno fottuto la macchina" e gli raccontò come misteriosamente fosse potuta sparire la sua macchina in un attimo, mentre era sceso a comprare il giornale.
"Tutto normale, allora. Tranquillo riavrà la sua auto intatta: centotré euro e la piccola grana di doversela sconfiscare dal garage in via Tiburzi 27 dove l'avranno già sganciata e parcheggiata. E' qui vicino, può andarci a piedi."
"Sconfiscare?"
"Riscattare, se le piace di più. Si tratta di un rapimento d'auto, ma perfettamente legale e la sconsiglio di protestare dicendo che in quella posizione e per due minuti non ha danneggiato niente e nessuno. Lo sanno, ma la legge è dalla loro parte."
carro attrezzi

"Come fa ad esserne sicuro?"
"L' edicola era di un mio amico, sessanta ben portati, ma anche un po' stufo di gelarsi i piedi d'inverno e fare la sauna d'estate dentro al suo guscio. Quando quelli dell'ARPIA, quelli dei carri attrezzi, gli hanno offerto una buon'uscita favolosa è andato dal notaio di corsa a firmare la cessione della sua attività. Non so se sia poi contento della nuova vita: non si vede più da queste parti, sarà andato a stare in un bel posto vistamare, magari."
"Insomma si sarebbero comprati l'edicola come esca per pescare con il gancio del carro attrezzi?"
"Esatto. L'hanno ingrandita, abbellita, ben fornita, come avrà notato, e si sono comprati anche il garage qui vicino così fanno meno strada loro e anche "il pollo", senza offesa."
"E a lei come vanno gli affari?"
"Ho perso un amico e acquistato ogni tanto un cliente di passaggio che non tornerà mai più, come lei. Purtroppo all'ARPIA non interessa il mio bar, per ora, ma chissà che un giorno non trovino la maniera di farci i soldi e allora, vistamare anche per me."



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mar 22 maggio 2012   Invia un commento all'autore
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dom 20 maggio 2012  Logica spiegazione

Andando a caccia per i vicoli della città vecchia di gustosi toponimi, sopravvissuti all'invasione di patrioti, letterati e scienziati, si imbatté in prospere colonie di gatti randagi, grassi e lucidi come lontre.
Al momento non collegò la penuria dei primi con l'abbondanza dei secondi. Da quando i gatti randagi cacciavano con successo i toponimi? Ma, più tardi, giunto a casa, sfogliando il taccuino degli appunti, quasi intonso, davanti ad una consolatoria tazza di tè, improvvisamente, fra sé e tè gli sovvenne la spiegazione più logica: i toponimi più gustosi se li erano pappati proprio quei gatti anonimi: i più grassi gattonimi che gli fosse mai capitato di incrociare.





Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) dom 20 maggio 2012   Invia un commento all'autore
"Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)

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