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In alto, il ponte di Castel del rio (BO) In basso, Fausto Coppi in una tappa di montagna con la neve
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) sab 30 ottobre 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
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"Ma dove sei stato, ciccio? Brutto girandolone, che non sei altro." A questa domanda senza risposta, animata da curiosità o apprensione, rivolta dal padrone al cane, si è sforzata di dare una risposta la fabbrica di giocattoli giapponese Tomy Co. Infatti ha messo in commercio, per ora solo nell'arcipelago nipponico, una telecamera da collare del peso di appena 38 grammi che può scattare foto per mezzo di un telecomando azionato a distanza. Secondo la pubblicità, permetterebbe di vedere il mondo "dal punto di vista del cane". Un modo eufemistico per mascherare la natura spionistica dell'oggetto che, in realtà, permetterà al padrone-spione di sapere cosa sta "guardando" il suo amico cane in ogni momento.
E' indubbio che potrebbe avere dei risvolti molto utili, in caso di smarrimento, ammesso che il padrone riesca a riconoscere il luogo in cui sta aggirandosi il suo amico, attraverso foto scattate "ad altezza di cane". Per il resto, scoprire che appena usciamo di casa, il nostro cane, immalinconito dall'essere rimasto solo, si accovaccia sulla nostra poltrona preferita e, fra un pisolino e l'altro, fuma il sigaro guardando un pornodog in TV, forse non vale la spesa della telecamera e, soprattutto, il fastidio che questa propaggine ingombrante del collare infliggerebbe al nostro paziente Bobby.
Ci saranno 150.000 giapponesi curiosi che la comprearanno entro un anno, confermando le previsioni di vendita della Tomy Co.? Non mi stupirebbe troppo, considerato che per decenni Vanna Marchi, con i suoi odiosissimi modi, è riuscita a truffare schiere di acquirenti con alghe pseudodimagranti, pozioni magiche e filtri amorosi da medio evo. In fondo la microcamera non danneggia nessuno, non promette niente di mirabolante e, ne sono certo, il suo"portatore sano" sarà in grado di liberarsene o di danneggiarla rapidamente con qualche opportuno colpo di zampa. Facilissimo! Non è mica furba come una pulce, in definitiva.
"Doveva essere una serissima seduta in Parlamento per decidere se finanziare il nuovo programma di potenziamento militare. Invece quella di cui sono stati protagonisti i politici di Taiwan è stata una vera battaglia senza esclusione di colpi, inclusi sacchetti del pranzo e portafascicoli usati come proiettili." Leggo questa notizia sulle news di Tiscali, riportata anche dalla Reuters ieri: " A food fight has erupted in Taiwan's parliament as lawmakers, quarrelling over a massive arms budget, hurled their lunch boxes at each other." Non è la rissa fra parlamentari che mi ha dato da pensare: tutto il mondo è paese, evidentemente. Piuttosto, sono i sacchetti per il pranzo, in realtà scatole, nella versione inglese (lunch boxes), usati come proiettili iniziali della contesa. Quando mai uno dei nostri onorevoli deputati, nella necessità incombente di colpire sul muso un prode avversario, potrebbe ritrovarsi a portata di mano una scatola di cartone, contenente il pranzo frugale, portato da casa o raccatato in un McDonald's? A quanto risulta, preferiscono mangiare gratis nella buvette di Montecitorio o, meglio ancora, in buoni ristoranti romani dove, occasionalmente, non disdegnano di bere qualche buona bottiglia di vino, seppure adeguatamente costosa (secondo accertate testimonianze, mille euro, in qualche caso, speriamo raro). Forse dovremmo solo rallegrarci che i nostri altrettanto rissosi parlamentari siano fieri paladini del mangiare bene e bere meglio, bandendo dalle loro abitudini squalificanti scatole da fast food. Resta solo un piccolo dubbio, meschino e qualunquista: il valore del lavoro dei nostri legislatori è proporzionato a quello del cibo e delle bevande che consumano o valgono sì e no un hamburger freddo in scatola, come i loro più frugali colleghi taiwanesi?
"Doveva essere una serissima seduta in Parlamento per decidere se finanziare il nuovo programma di potenziamento militare. Invece quella di cui sono stati protagonisti i politici di Taiwan è stata una vera battaglia senza esclusione di colpi, inclusi sacchetti del pranzo e portafascicoli usati come proiettili."
Leggo questa notizia sulle news di Tiscali, riportata anche dalla Reuters ieri: " A food fight has erupted in Taiwan's parliament as lawmakers, quarrelling over a massive arms budget, hurled their lunch boxes at each other."
Non è la rissa fra parlamentari che mi ha dato da pensare: tutto il mondo è paese, evidentemente. Piuttosto, sono i sacchetti per il pranzo, in realtà scatole, nella versione inglese (lunch boxes), usati come proiettili iniziali della contesa. Quando mai uno dei nostri onorevoli deputati, nella necessità incombente di colpire sul muso un prode avversario, potrebbe ritrovarsi a portata di mano una scatola di cartone, contenente il pranzo frugale, portato da casa o raccatato in un McDonald's?
A quanto risulta, preferiscono mangiare gratis nella buvette di Montecitorio o, meglio ancora, in buoni ristoranti romani dove, occasionalmente, non disdegnano di bere qualche buona bottiglia di vino, seppure adeguatamente costosa (secondo accertate testimonianze, mille euro, in qualche caso, speriamo raro).
Forse dovremmo solo rallegrarci che i nostri altrettanto rissosi parlamentari siano fieri paladini del mangiare bene e bere meglio, bandendo dalle loro abitudini squalificanti scatole da fast food. Resta solo un piccolo dubbio, meschino e qualunquista: il valore del lavoro dei nostri legislatori è proporzionato a quello del cibo e delle bevande che consumano o valgono sì e no un hamburger freddo in scatola, come i loro più frugali colleghi taiwanesi?
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) gio 28 ottobre 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
I testoni possono scatenarsi più degli altri con il telefonino. Questa potrebbe essere la conclusione, espressa in modo brutale, dell'ennesima ricerca sulla possibile nocività dei telefonini, sospettati, a torto, di danneggiare il cervello facendo alzare la temperatura della testa durante le chiamate. Si è riscontrato, però, che la minore dimensione della testa provoca un maggior assorbimento delle onde elettromagnetiche ed un conseguente innalzamento della temperatura, seppure al di sotto dei limiti di sicurezza. Insomma, microcefali di ogni origine e natura, statevi accorti, il vostro cervello si scalda di più, durante le telefoninate, mentre i cabezones restano belli freschi.
Sul versante opposto, quello del "telefonino fa bene" va, invece collocata una ricerca degna di un IGnobel, che dimostra come " le funzioni psicomotorie e cognitive sono influenzate (positivamente) dai campi elettromagnetici dei cellulari". La ricerca ha dimostrato come «la presenza del campo elettromagnetico induca una velocizzazione nella risposta agli stimoli acustici, riducendo il tempo di reazione da 35 millesimi di secondo (tempo di reazione semplice) a 30 millesimi di secondo". Non solo, ma l'influsso speedy gonzales durerebbe anche a telefonino spento "raggiungendo il picco intorno al ventesimo minuto dopo lo spegnimento del cellulare, per poi esaurirsi completamente entro 40-45 minuti"
Fantastico, d'ora in avanti, prima di cominciare una partita a flipper all'ultimo sangue, sarà il caso di fare una bella telefonata ad un amico, possibilmente con un bel testone, per non fare male a nessuno.
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mar 26 ottobre 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Oggi siamo andati a Firenze per visitare la mostra "Vitrum" allestita all'interno del museo degli argenti di palazzo Pitti. L'allestimento è ben curato e sobriamente didattico; la raccolta di oggetti significativi è notevole; inoltre non c'era troppo folla ed il percorso era chiaro e non eccessivamente stancante. Insomma una visita piacevole, soprattutto, se bilanciata da una passeggiata nei bei giardini del palazzo, dove si può ammirare, fra l'altro, uno dei più bei cedri del libano che mi sia capitato d'incontrare in vita mia.
Su cosa verta la mostra è detto, sinteticamente, nel sito di presentazione: " Il famoso Vaso Blu, ma anche gemme, lenti, brocche, anfore, bottiglie, ciotole, corni potori, delle più svariate fogge e colori. Testimoniano l'importanza e la diffusione del vetro. Che segnò una vera rivoluzione tecnologica nel mondo romano. Al pari di quella della plastica per la contemporaneità… " vedi anche: http://www.volipindarici.it/pretesti/mostre/10_31fi_cultura/
Molto meno piacevole è stato il giretto per il centro di Firenze: affollamento di turisti sbracati nel caldo ancora estivo, bancarelle di paccotiglia d'infimo livello ad ostruire strade e piazze, i massimi monumenti (palazzo vecchio; loggia dei Lanzi; cupola del Brunelleschi...) nascosti da vistosissime impalcature, bendate di bianchi teli di plastica. Non è mancato l'abituale, vergognoso stato di pulizia dei gabinetti di palazzo Pitti e del vicino ristorantino dove abbiamo mangiato. Fortunatamente lo storico caffè Paskowsky resiste ancora all'assedio del degrado, ma non serve più il caffè nelle sue tradizionali tazze grandi. Tu quoque...
Nella figura in alto, il famoso Vaso blu , capolavoro romano della tecnica cammeo, consistente in un vaso di vetro scuro rivestito da vetro bianco intagliato. In basso, palazzo vecchio e il caffè Paskowsky a Firenze
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) dom 24 ottobre 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Anche quest'anno, come fa puntualmente a partire dal 1991, l'Harward University ha assegnato i premi IGnobel a ricerche che prima fanno ridere, poi pensare. Dell'argomento, piuttosto spassoso, ci siamo già occupati lo scorso anno.Fra le varie ricerche: "studi veri, ma assurdi, ingegnosi eppure stupidi, queste le caratteristiche delle scoperte vincitrici dei contro-Nobel", mi ha stuzzicato quelle di una studentessa di una scuola superiore di agricoltura, Jillian Clarke, che ha cercato di verficare sperimentalmente "la regola dei cinque secondi". Personalmente non l'avevo mai sentita nominare, ma è risultato dalla ricerca che negli USA è, invece, ben nota. In due parole la "regola"sostiene che se si raccoglie entro cinque secondi un frammento di cibo (diciamo un cioccolatino) caduto sul pavimento, lo si può mangiare tranquillamente, dopo no.
Paese strano l'America, afflitto dall'ossessione di fare tutto in fretta, di guadagnare tempo (time is money); una mania che si allarga ai domini più impensati, quali l'igiene alimentare.
Quando eravamo bambini se ci cascava per terra un burdigone di liquerizia o, più facilmente, un crostino di pane, ci soffiavamo sopra con convinzione e poi, subito in bocca, senza pensarci troppo. Era il soffio sterilizzante e purificatore che contava, nessuno si sognava di contare i secondi di sosta a terra. Come dire, raccoglilo pure con calma, ma soffia forte e dappertutto.
La ricerca ignobel, invece, ha dimostrato tre cose interessanti: primo che la regola dei cinque secondi è molto conosciuta e praticata dagli adolescenti americani; secondo che, ad una scrupolosa anlisi, i pavimentis della scuola presa in esame si sono dimostrati incredibilmenti puliti, quasi sterili; terzo, che se una morosita o una gomma da masticare cadono su di una piastrella sporca, anzi sporcata scientificamente per l'esperimento, s'infetta e come, in barba alla rapidità dello speedy gonzales che la raccoglie.
Buffa anche la paternità che gli americani attribuiscono alla regola: niente di meno che Gengis Kan, il quale, stando alle loro credenze, era però molto più rilassato in materia di tempo, da bravo asiatico. Infatti riteneva che un cibo dovesse essere buttato, se era rimasto a terra più di dodici ore. Per amore del relativismo storico, va riconosciuto che, se il terribile conquistatore calpestava terreni meno puliti delle piastrelle scolastiche dell'Illinois, in compenso, doveva avere un bel fisicaccio, a giudicare dal suo curriculum vitae.
Sulle abitudini d'igiene alimentare di Attila, nulla è trapelato, finora. Chissà che un premio IGnobel non venga assegnato prossimamente a chi farà luce sul mistero.
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) gio 21 ottobre 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Sabato scorso, " dopo una sobria grigliata di carne (una in due)" al Botteghino di Zocca, una trattoria simpatica che ultimamente frequentiamo spesso, abbiamo risalito la val di Zena, sempre molto frequentata da cilisti ben dotati di gambe e di fiato, che si scannano lungo tornanti e "strappi" via via più impervi, e abbiamo imboccato il bivio per il monte delle formiche. E un colle dominante, sormontato da un brutto santuario dal quale si gode una vista panoramica rasserenante sulle valli circostanti. Un tempo le campane, incustodite e sostenute da tralicci provvisori raggiungibili facilmente da terra, erano l'occasione di scampanate goliardiche da parte di ragazzi, contenti di festeggiare l'impresa ciclistica e di comunicarla all'intera valle. Da anni sono banalmente rinchiuse in cima al campanile e immagino che si facciano sentire molto raramente e solo nelle occasioni ufficiali di festa del santuario.
Negli ultimi chilometri prima della cima, la strada si fa sempre più stretta ed in alcuni punti appare come una galleria molto ombrosa, quasi buia, all'interno di un castagneto che, proprio in questi giorni, lascia cadere a terra i frutti maturi. La stessa strada, che serpeggia all'interno del bosco, viene pertanto ricoperta dai ricci maturi che si spaccano cadendo sull'asfalto: una miniera di marroni a disposizione del primo che passa.
Durante la breve sosta per scattare le foto d'occasione, ne ho raccolto in pochi minuti una tascata, lasciandone in abbondanza per chi sopraggiungesse più tardi. La sera stessa li abbiamo arrostiti e mangiati a cena. Sono dolci ma molto piccoli, perché in un solo riccio convivono quattro o cinque gemellini, di sana&robusta costituzione, ma dall'aspetto modesto, indegno dell'apoteosi zuccherina che li promuoverebbe a marron glaces, il dolce piemontese che io preferisco agli stessi cioccolatini.
Un tempo il castagneto era la fonte primaria di soppravvivenza invernale di montanari poverisimi che li mangiavano principalmente nella forma di castagne secche, lungamente bollite nell'acqua, o di castagnaccio: un tortino cotto al forno di farina, acqua (e lievito), che riempiva lo stomaco come un mattone.
Più rare erano le mistocchine, fatte di farina impastata con acqua e abbrustolite sulla piastra della stufa, ma ricordo la presenza di qualche rara mistocchinaia anche in città. Cuoceva le mistocchine su di un fornello a carbonella, in un angolo riparato di un portico, e le vendeva, ancora calde e per pochissime lire, a qualche passante infreddolito, nella città semibuia e piena di macerie del primo dopoguerra.
Che io sappia, si tratta di uno dei tanti "dolci", radicati in una cultura povera, travolti dal benessere, mentre i vecchioni (castagne intre con la buccia, essiccate al forno) ancora resistono e si trovano durante le feste più tradizionali, come la fiera di San Geminiano a Modena, che continua a tenersi il 31 gennaio e a conservare qualche barlume delle vecchie tradizioni, nonostante la presenza sempre più significativa di concittadini originari dell'Africa o del Pakistan o del Pundjab.
Sarebbe bello se la fusione fra turbanti e tabarri, auspicabile e benvenuta, portasse alla somma del meglio dell tradizioni di ciascuno, senza soccombere ad un'avvilente appiattimento, negativo per tutti.
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mer 20 ottobre 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)