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mar 28 settembre 2004  Evolution o devolution?

Per chi non lo sapesse, io fumo la pipa e la fumo da sempre, salvo un breve vuoto iniziale, quando portavo i calzoni corti e mi limitavo a tenere in bocca le piccole pipe figurate in legno di pero scolpite a forma di curiose faccette, magari con la barba e gli occhi brillanti di corallini incastonati al punto giusto. Al ginnasio fumavo la camomilla, poi passando al liceo, ebbi il permesso di caricare il fornello con il tabacco. Allora le tabaccherie avevano la gloriosa insegna ovale di ferro smaltato che ne testimoniava la funzione di appalto per la vendita di sali e tabacchi del monopolio di Stato e, in effetti, vendevano poco d'altro. Le sigarette Alfa e le Nazionali si vendevano anche sfuse in piccoli sacchetti di carta che ne potevano contenere fino cinque.Anche se comprarle una alla volta non rendeva l'acquirente particolarmente popolare agli occhi del tabaccaio, ricordo che miei compagni di scuola lo facevano per conciliare la voglia di fumare con i pochi soldi in tasca di cui disponevano.

All'epoca i tabacchi da pipa disponibili erano pochi e proporzionati alle tasche semivuote dei fumatori: imperavano i trinciati nazionali - forte, medio e leggero- confezionati malamente con la stagnola in pacchetti rettangolari, scomodissimi, simili ad un pezzo di sapone sottile. Il trinciato forte, in particolare, era micidiale. Circolava la battuta che fosse il più potente insetticida contro le pulci, se mescolato a polvere di marmo. I famigliari insettini, annusandolo, non avrebbero potuto evitare di starnutire clamorosamente e sbattere così la testa contro il marmo con una zuccata fatale.

Chi poteva permetterselo, aveva a disposizione due soli tabacchi esteri: Il Revelation americano e il Price Albert, inglese, venduto in una elegante scatola di ferro spessa un dito che si apriva in alto, nel modo più scomodo possibile, con un coperchietto ricavato nello spessore della scatola. Era una di quelle scatole robustissime che hanno salvato la vita al soldato più fortunato del West, sbarcato in Nomandia il D-day. Il protagonista della miracolosa deviazione di un proiettile sparatogli al petto è ancora vivo e ha raccontato la sua avventura durante la ricostruzione dello sbarco, apparsa la scorsa settimana su "Ulisse" di Piero e Alberto Angela. Ultraottantenne arzillo, ha mostrato alle telecamere la scatola salvavita bucata : poi dicono che fumare la pipa fa male.

A partire dagli anni '60 anche noi derelitti fumatori di pipa italiani abbiamo vissuto la nostra età dell'oro: sugli scaffali dei tabaccai, finalmente, è comparsa una fioritura di decine di scatole e, soprattutto, di economiche e comodissime buste di tabacchi olandesi, danesi oltrché inglesi e americani. Uno spasso. Anche il monopolio di Stato fece un exploit mettendo in commercio "mixture" nostrane del tutto onorevoli e perfino confezioni di tabacchi puri (Virginia, Burley, Kentucky, Latakia...) da mescolare a proprio piacimento per ricavarne la propria mistura personale come, da sempre, hanno potuto fare gl'inglesi. Ricordo che da ragazzo, durante le vacanze londinesi, non mancavo mai di farmi preparare una piccola scorta di scatole tonde con il coperchio a vite confezionate espressamente per me, secondo i miei gusti e in mia presenza, dal tabaccaio di Charing Cross Road.

Ma la bella stagione è finita da un pezzo: ormai i tabaccai sono una specie in via di estizione. Al loro posto, si aggirano dietro i banchi degli spacciatori di sigarette in pacchetto: giovanotti e ragazze che di sigari e tabacchi non sanno nulla. "Le vuole morbide o dure?" cinguettano, esibendo la loro alta competenza professionale. Nelle prestigiose vetrine di storici tabaccai del centro hanno rimpiazzato bellissime pipe ed eleganti accendisigari con pupazzetti ed altre cianfrusaglie inguardabili e per procurarmi lo Sweet Dublin, che fumo da vent'anni -un popolarissimo tabacco danese veduto in tutto il mondo civile- devo scarpinare per mezza Bologna. Colmo dei colmi: il tabaccaio di Palazzo Re Enzo, il cuore della mia città, è sprovvisto di scovolini. "Non li tengo più, mi dispiace", ha avuto il coraggio di confidarmi.

Evolution o devolution?

Bologna: sullo sfondo di palazzo Re Enzo il Nettuno



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mar 28 settembre 2004   Invia un commento all'autore
"Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)

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ven 17 settembre 2004  Cri, cri...

Secondo l'etologo Danilo Mainardi, un quark-man storico, scritturato permanentemente da Piero Angela per commentare i documentari naturalistici: «Si sono rotti gli equilibri naturali. Ma in questo caso non mi sembra così grave. Ci sono rumori ben peggiori del verso dei grilli».

Stiamo parlando, infatti, della portentosa invasione di grilli che si verificò alla fine del Luglio 2003 nel territorio di Chioggia e che si è ripetuta, proprio in questi giorni, nella bassa modenese, presso S. Felice sul Panaro, stando alla testimonianza diretta di un amico che se li è sentiti scrocchiare sotto le ruote della sua auto, mentre ricasava. Avevano coperto la strada come un lucido manto supplementare di asfalto.

Come le bibliche invasioni di cavallette in Africa o in Australia, o le più esotiche scorribande di gamberi in Toscana, è riconducibile a molteplici motivi come l'inquinamento chimico che ha fatto sparire le rondini. non solo l'Italia, ma anche nel resto d'Europa e dell'Africa, dove le rondini sono solite migrare. A questo si aggiungono la caccia, la presenza di allevamenti, la cattiva gestione dei rifiuti organici e la distruzione degli habitat anche degli altri insettivori, come merli e cinciallegre, che sarebbero preposti, appunto, a mantenere l'equilibrio della popolazione di grilli, cibandosene avidamente.

Chiudendo la casa al mare alla fine della stagione, la scorsa domenica, abbiamo notato una presenza più numerosa e vispa del solito della tribù di grilli con la quale conviviamo da almeno 20 anni, senza disturbarci a vicenda. Un incremento modesto, però, e del tutto "sostenibile", come va tanto di moda dire in questi giorni grami, di squilibri insostenibili.

Abituato a filtrare mentalmente il ruggito incessante del traffico sotto le finestre del mio ufficio in via Ugo Bassi, che altro non è se non il tratto centrale della via Emilia a Bologna, non ho mai patito il cricri dei grilli, al contrario, ricordo con tenerezza quando mio padre nei suoi ultimi anni, affacciato dopo cena al suo terrazzo fiorito, mi chiedeva:
"Ma tu li senti ancora?
"Chi, babbo?"
"I grilli. Ci sono ancora? Io non li sento più."

Ne parlava con malinconia, come di una bella stagione finita per sempre.



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) ven 17 settembre 2004   Invia un commento all'autore
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