All'indice alfabetico - All'archivio mensile - A Wordpress - Ai miei racconti - Alle mie foto - A Blogger
"Cos'è e come funziona un cannone antigrandine. Si tratta di un enorme cono rovesciato alla cui base vi è una camera di combustione. Il tutto è sorretto da un treppiede che sostiene il vertice del cono e dirige la cavità verso il cielo. La camera di combustione viene ciclicamente riempita di gas combustibile, come propano o acetilene, e una candela ne causa l'esplosione. La forte deflagrazione, amplificata dalla forma a megafono del cannone, lancia un'onda sonica di forte potenza verso il cielo, e viene ripetuta, grazie ad un timer elettronico, ogni 5/10 secondi. Nelle dichiarazioni dei costruttori l'onda di pressione sarebbe in grado di disturbare il processo d'accrescimento della grandine, o secondo altri far perdere equilibrio ai nuclei di condensazione in sospensione, e generare l'immediata caduta dell'idrometeora, prima che essa diventi di grosse e rovinose dimensioni. La teoria di funzionamento è fatto oggetto di disputa tra i costruttori, essi stessi in difficoltà nello spiegare la metodologia d'azione dei loro prodotti. Non vogliamo entrare nel merito, benché il mondo scientifico sia fortemente scettico, o forse sarebbe meglio dire incredulo e indignato di fronte a tanta millanteria."… "Tuttavia i problemi derivanti dall'adozione di tale attrezzo si sono, negli anni, rivelati molto seri a livello sociale, e ben riassunti su molti siti Internet meteorologici, professionali e amatoriali. I cannoni antigrandine, a causa della loro assordante onda d'urto, sia di giorno sia di notte, causano notevoli problemi psichici e psicologici agli abitanti delle zone limitrofe alle coltivazioni estensive, con notevoli modificazioni dei cicli vitali del sonno e della veglia. Inoltre le potenti onde di pressione danneggiano irreparabilmente le cascine e le case più vecchie dei borghi di pianura, causando crepe e fessurazioni nei rivestimenti esterni e negli intonaci interni." Insomma, un cannone è sempre un cannone, meglio starne alla larga e cannoneggiare, seppure la grandine, non è mai un'azione da intraprendere a cuor leggero, se non si possiede la leggerezza di tocco del Barone di Muenchausen, che le palle di cannone le cavalcava come se niente fosse, o la naturale vigoria della donna cannone che con un soffio smorza un lampione. Nell'immagine ritratto di donna cannone mentre smorza un lampione di Sant'Arcangelo di Romagna
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) ven 27 giugno 2003 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Indirizzo permanente - Al blog più recente - All'indice alfabetico - Cerca... - In fondo - All'inizio
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) ven 20 giugno 2003 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
"...Dr Graves had thus predicted that the chromosome might be heading for extinction within five to 10 million years. But Page says that the Y's full genome sequence has revealed that scientists generally had underestimated both its number of genes and its powers of self-preservation. The team believes the Y has developed an apparently unique way of pairing up with itself. They found that many of its 50 million DNA "letters" occur in sequences known as palindromes. Like their grammatical counterparts, these sequences of letters read the same forward as backward but are arranged in opposite directions - like a mirror image - on both strands of the DNA double helix. This means that a back-up copy of each of the genes they contain occurs at each end of the sequence." vedi: http://www.abc.net.au/science/news/stories/s884493.htm Se la scoperta è attendibile, possiamo stare tranquilli: il povero cromosoma Y non ha milioni di anni contati, come temevamo fino a ieri, non solo, ma è una splendida galleria di specchi (palindromi). Meno male.
"...Dr Graves had thus predicted that the chromosome might be heading for extinction within five to 10 million years. But Page says that the Y's full genome sequence has revealed that scientists generally had underestimated both its number of genes and its powers of self-preservation. The team believes the Y has developed an apparently unique way of pairing up with itself. They found that many of its 50 million DNA "letters" occur in sequences known as palindromes. Like their grammatical counterparts, these sequences of letters read the same forward as backward but are arranged in opposite directions - like a mirror image - on both strands of the DNA double helix. This means that a back-up copy of each of the genes they contain occurs at each end of the sequence."
vedi: http://www.abc.net.au/science/news/stories/s884493.htm Se la scoperta è attendibile, possiamo stare tranquilli: il povero cromosoma Y non ha milioni di anni contati, come temevamo fino a ieri, non solo, ma è una splendida galleria di specchi (palindromi). Meno male.
"Una multa a chiunque proferisca la parola OK; non si resta abbronzati tutto l'anno; dimenticate il tanga; mai il marrone di sera; mai le scenate di gelosia neanche in privato; mai andare in televisione", secondo Laura Laurenzi di Repubblica sarebbe una sorta di supersintesi di galateo al negativo. Le ragioni profonde di taluni anatemi come "mai il marrone di sera" mi risultano piuttosto oscure, ma m'interesserebbe ancora di più capire se, indirettamente, risultino promossi, o meno riprovevoli, altri comprtamenti ben radicati e diffusi come l'ispezione accurata delle narici durante le soste ai semafori; lo sputo di chewing gum sui marciapidi; l'abbandono di cartaccia o di cicche sulla pubblica via o la mancata pulizia dei gabinetti di bar e ristoranti ... Spero di no, perché in caso contrario debbo dire che preferirei di gran lunga un signore abbronzato tutto l'anno e vestito di marron anche di sera che, nonostante si lasci sfuggire di bocca qualche imperdonabile OK, mai e poi mai lascerebbe dietro di se una lurida bava di caccole, chewing gum, cicche e cartacce per non dire altro. Nel mio inferno dei comportamenti da condannare avrei incluso, in un girone profondissimo, anche chi alza la voce e disturba rumorosamente non solo con un uso improprio degli strumenti naturali, ma anche con manufatti artificiali molto più poderosi, comprese le "festose" campane.
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mer 18 giugno 2003 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Leggo su Il nuovo che ormai numerose specie di animali "selvatici", secondo la terminologia di un tempo, si sono trasferite nelle nostre città.
Le chiavi di lettura di questo fenomeno, che non sembra né circoscritto né temporaneo, ma, al contrario, ha più l'aria di essere in espansione, possono essere diverse, naturalmente.
La si può buttare sull'apocalittico: il degrado che avanza o, più ottimisticamente, come un tentativo positivo di maggiore integrazione fra un ambiente artificiale creato dall'uomo e la natura circostante che, in qualche forma e nella limitata misura possibile, se ne riappropria.
Non vedo perché dovremmo considerare più normali i piccioni di piazza S. Marco a Venezia (nutriti artificialmente di frumentone dai turisti) delle ghiandaie che a Ferrara si nutrono dei pinoli dei numerosi pini domestici della città, rifugio abituale anche di allocchi, oppure dei fringuelli, cince, merli, allocchi che, a Milano, vivono nei parchi del centro, mentre gheppi, civette, rondoni e storni preferiscono le mura di grandi edifici come il Castello Sforzesco e la Stazione Centrale. Un po' più sorprendente è la faina in cerca di ratti e piccioni avvistata sul tetto del Palazzo dei Consoli di Gubbio o di esemplari di orso bruno segnalati nei paesi di Villetta Barrea e Bisegna, in Abruzzo, in cerca di alveari e pollame.
Secondo una mia amica, un piccolo branco di lupi, con gli occhi torvi e rossi, pattugliava le strade poderali a nord-ovest di Bologna, durante le albe polari dello scorso inverno. Perché no?
Ad ogni modo, nessun incidente o fastidio particolare mi pare sia stato segnalato come conseguenza di questo timido ritorno del selvatico fra noi, mentre le tradizionali zanzare estive se la spassano, come sempre, sulle nostre nudità roventi e sudaticce di queste notti estive in città, senza che neppure una rondine al tramonto od un pipistrello notturno le contrasti efficacemente.
Fatevi coraggio fratelli insettivori, accorrete numerosi. Nel frattempo, qua la zampa, Autan .
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) gio 05 giugno 2003 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
In principio era la scopa . Il suo regno sembrava solido, quasi imperituro, ma come tanti altri gloriosi attrezzi millenari ha subito, in tempi recenti, un attacco violento, quasi mortale da parte di più complicati e fragili marchingegni avidi di energia elettrica o di altro tipo, bisognosi di manutenzione, costosi sia in partenza sia durante l'esercizio delle loro nobili funzioni. Il vacuum cleaner complicato, rumoroso e ingombrante, prosaicamente ribattezzato da noi in aspirapolvere, ha inizialmente affiancato con discrezione la scopa domestica che, tuttavia, si difende ancora abbastanza bene, aggiornandosi e trasformandosi con soprassalti di civetteria formale e una conversione dalla saggina e dal legno a materiali sintetici, sia nella parte scopante, sia nel manico. Un assalto più grave al tradizionale ruolo occupato nelle case dall'attrezzo manuale è stato portato di recente dalle scope elettriche che non ne usurpano soltanto il nome, ma anche la forma allungata con pretese di maneggevolezza, ma le sorprese maggior si vedono per la strada. Da qualche tempo, lungo il mio abituale percorso motociclistico del mattino, devo guardarmi da insoliti mucchietti disordinati di polvere, foglie e altri piccoli detriti diffusi irregolarmente nel bel mezzo dei vialetti tranquilli e solitamente ordinati che mi portano da casa al centro. Polvere negli occhi e sporcizia fino al centro della strada. Come mai? Il mistero mi si è completamente svelato un fortunata mattina quando ho colto in flagrante l'autore del disordine: un operatore ecologico, patentato e vistosamente tegumentato di casacca catarifrangente, che con un fragoroso marchingegno scova e spara vorticosamente verso il centro della strada la polvere che se ne stava tranquillamente rintanata lungo i bordi. Non la raccoglie silenziosamente in un bidone, come faceva il tramontato spazzino comunale con la sua scopa obsoleta, ma la sparpaglia festosamente e fragorosamente ovunque, spesso aiutato dalla brezza naturale, molto più silenziosa, ma anche più efficace del modesto soffione a scoppio d'ordinanza. Incredulo che tanto dissennato scempio fosse la nuova procedura per la normale pulizia delle strade ho indagato con tutta la sagacia e la tenacia che un mistero del genere postulava, finché non sono arrivato a capo del busillis. Lo spargitore di pattume non è uno squilibrato, ancorché regolarmente pagato e fornito di insegne e casacca che lo proteggono dagli spontanei sberleffi e insulti dei cittadini, ma il facilitatore dell'azione di pulizia che dovrebbe essere svolta da un apposita, costosissima, " spazzatrice "su quattro ruote e tre spazzole rotanti. Il veicolo ripulitore dovrebbe seguire immediatamente l'uomo spargitore e fagocitare nel suo capiente ventre meccanico la polvere e le foglie dei vialetti collinari dove vivo, insieme ad altri perplessi concittadini. Questa sarebbe, grossolanamente la procedura elementare, tuttavia, per evitare che una pulizia troppo perfetta e completa abbia luogo alla prima passata, lasciando colpevolmente inoperosa la costosa attrezzatura, hanno studiato e perfezionato una procedura più raffinata che consiste, basilarmente, nel lasciare trascorrere un intervallo di tempo fra lo spargimento del pattume e la sua raccolta . Perché la faccenda funzioni a dovere, l'intervallo deve essere sufficientemente lungo da permettere alla brezza naturale ed a quella, ancora più efficace, delle auto di passaggio, di riposizionare il pattume ai bordi dei marciapiedi dove si trovava, prima della rumorosa azione perturbante del soffiatore a scoppio. L'equilibrio ecologico ed il posto di lavoro di valenti operatori risultano, così, stabilmente tutelati nel tempo, nonostante sia stato versato il doveroso tributo alla modernizzazione che un Comune serio e avanzato deve pur pagare. Non è solo polvere negli occhi, insomma.
In principio era la scopa . Il suo regno sembrava solido, quasi imperituro, ma come tanti altri gloriosi attrezzi millenari ha subito, in tempi recenti, un attacco violento, quasi mortale da parte di più complicati e fragili marchingegni avidi di energia elettrica o di altro tipo, bisognosi di manutenzione, costosi sia in partenza sia durante l'esercizio delle loro nobili funzioni.
Il vacuum cleaner complicato, rumoroso e ingombrante, prosaicamente ribattezzato da noi in aspirapolvere, ha inizialmente affiancato con discrezione la scopa domestica che, tuttavia, si difende ancora abbastanza bene, aggiornandosi e trasformandosi con soprassalti di civetteria formale e una conversione dalla saggina e dal legno a materiali sintetici, sia nella parte scopante, sia nel manico.
Un assalto più grave al tradizionale ruolo occupato nelle case dall'attrezzo manuale è stato portato di recente dalle scope elettriche che non ne usurpano soltanto il nome, ma anche la forma allungata con pretese di maneggevolezza, ma le sorprese maggior si vedono per la strada.
Da qualche tempo, lungo il mio abituale percorso motociclistico del mattino, devo guardarmi da insoliti mucchietti disordinati di polvere, foglie e altri piccoli detriti diffusi irregolarmente nel bel mezzo dei vialetti tranquilli e solitamente ordinati che mi portano da casa al centro.
Polvere negli occhi e sporcizia fino al centro della strada. Come mai? Il mistero mi si è completamente svelato un fortunata mattina quando ho colto in flagrante l'autore del disordine: un operatore ecologico, patentato e vistosamente tegumentato di casacca catarifrangente, che con un fragoroso marchingegno scova e spara vorticosamente verso il centro della strada la polvere che se ne stava tranquillamente rintanata lungo i bordi.
Non la raccoglie silenziosamente in un bidone, come faceva il tramontato spazzino comunale con la sua scopa obsoleta, ma la sparpaglia festosamente e fragorosamente ovunque, spesso aiutato dalla brezza naturale, molto più silenziosa, ma anche più efficace del modesto soffione a scoppio d'ordinanza.
Incredulo che tanto dissennato scempio fosse la nuova procedura per la normale pulizia delle strade ho indagato con tutta la sagacia e la tenacia che un mistero del genere postulava, finché non sono arrivato a capo del busillis. Lo spargitore di pattume non è uno squilibrato, ancorché regolarmente pagato e fornito di insegne e casacca che lo proteggono dagli spontanei sberleffi e insulti dei cittadini, ma il facilitatore dell'azione di pulizia che dovrebbe essere svolta da un apposita, costosissima, " spazzatrice "su quattro ruote e tre spazzole rotanti. Il veicolo ripulitore dovrebbe seguire immediatamente l'uomo spargitore e fagocitare nel suo capiente ventre meccanico la polvere e le foglie dei vialetti collinari dove vivo, insieme ad altri perplessi concittadini. Questa sarebbe, grossolanamente la procedura elementare, tuttavia, per evitare che una pulizia troppo perfetta e completa abbia luogo alla prima passata, lasciando colpevolmente inoperosa la costosa attrezzatura, hanno studiato e perfezionato una procedura più raffinata che consiste, basilarmente, nel lasciare trascorrere un intervallo di tempo fra lo spargimento del pattume e la sua raccolta .
Perché la faccenda funzioni a dovere, l'intervallo deve essere sufficientemente lungo da permettere alla brezza naturale ed a quella, ancora più efficace, delle auto di passaggio, di riposizionare il pattume ai bordi dei marciapiedi dove si trovava, prima della rumorosa azione perturbante del soffiatore a scoppio.
L'equilibrio ecologico ed il posto di lavoro di valenti operatori risultano, così, stabilmente tutelati nel tempo, nonostante sia stato versato il doveroso tributo alla modernizzazione che un Comune serio e avanzato deve pur pagare. Non è solo polvere negli occhi, insomma.
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mer 04 giugno 2003 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Non credo che la notizia abbia scosso molta gente nel nostro Paese, salvo gli animalisti, molto più ignoti ai più delle volpi stesse. Nel nostro Paese è più diffuso lo sport di "gridare al lupo"; la caccia alla volpe non ha mai suscitato particolari simpatie, neppure fra i cacciatori di più innocue specie che, al pari della volpe, si aggirano per le nostre campagne da sempre.
La frequentazione della volpe, da noi, è letteraria e infantile: la conosciamo come l'astuta compagna del lupo che trae in inganno il povero Pinocchio. Benché le volpi vere e proprie non manchino, di solito il termine è presente nei nostri discorsi solo in senso metaforico.
In questa limitata accezione, è piuttosto diffusa, ma non sono in vista cambiamenti, penso. Infatti le astute canaglie prosperano come non mai e la loro caccia non è mai stata aperta, ancorché chiusa, da alcuna legge, a quanto mi risulta.
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mar 03 giugno 2003 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Montepastore - Appennino bolognese
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) lun 02 giugno 2003 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Da quando il tarlo che la sua macchina fosse stata violata aveva cominciato a perseguitarlo, gli sembrava quasi di sentire i byte frusciarne fuori dal computer come il filo d'acqua da un rubinetto, ma, naturalmente, non riusciva ad individuarne l'origine. Era certo di aver chiuso tutte le porte eccetto le pochissime per i servizi indispensabili, aveva innalzato una firewall più alta e poderosa delle mura serviane, ma se ci fossero rimaste backdoors nascoste, aperte a sua insaputa da qualche giocherellone o malandrino non avrebbe potuto giurarlo.
Il file di log non lo aveva aiutato minimamente a risalire ad attività inattese sulla sua macchina. Niente di più del solito stupido, prolisso resoconto delle attività normali. S'illuminò di un sorriso involontario pensando che si trattava di un "palo" di fiducia: cieco e sordo come quello famoso "dell'ortica" di una gloriosa canzone di Jannacci. Se erano entrati sul suo sistema lo avevano fatto con garbo, pulendosi per bene le scarpe prima di accedere e senza fracassare la cristalleria, mentre si muovevano all'interno del file system per predisporre una via di uscita pulita e silenziosa.
Da che buco erano passati? Quasi ogni giorno sulla posta gli arrivavano dalla Red Hat avvisi su di una nuova possibile vulnerabilità del sistema che avrebbe permesso a superesperti di aprire una breccia nelle mura, rivelandone una debolezza, invisibile fino a quel momento. Ma chi erano, poi, questi grandi maghi che passavano il loro tempo a battere con le nocche e ad auscultare ogni millimetro delle poderose mura, alla ricerca di un eco sospetta che permettesse d'infliggere un vulnus immedicabile al sistema immunitario? E cosa cercavano i malandrini, al postutto? Era ben consapevole di non avere lasciato in giro sui suoi dischi nulla che potesse, seppur minimamente, interessare o giovare a chicchessia. Tutti i dati sensibili erano protetti da PGP e quelli più importanti spostati ogni sera su CD, prima di chiudere bottega e andare a casa (lui diceva a palazzo Braschi) a mangiare una mezza melina ed un bicchiere di latte. L'ipotesi più probabile era che volessero prendere il controllo della sua macchina per scopi estranei al contenuto dei dischi. Trasformarla in uno zombie, prono a qualsiasi ordine gli giungesse dal padrone remoto. Uno dei mille e mille piccoli server insignificanti da radunare in una cieca inarrestabile schiera da scagliare con ottusa aggressività contro un gigante poderoso e protervo, nella sua pretesa inattaccabilità, per umiliarlo in un degradante denial of service, cioè in un collasso totale.
Nonostante il fastidio, quasi un prurito, provocatogli dal sospetto che il suo server non fosse nulla di più di uno dei tanti schiavi pronti a scagliarsi contro un gigante, come allodole sulla finta civetta di specchi, non potava reprimere una involontaria ammirazione per questi moderni luddisti. Cosa li spingeva a cimentarsi ai vertici della difficoltà, senza poterne ricavare né profitto, né notorietà? per ferire temporaneamente un sistema gigante: niente di più raffinato di comune ipertrofico server commerciale. Non una munitissima postazione dei servizi segreti od il caveau vigilatissimo di una banca, ma un comune Yahoo! Il gusto del sapiente colpo di fionda nel mezzo della fronte di Golia? Il raffinato piacere differito del seminatore di datteri? perché non c'era alcun dubbio che un colpo del genere richiedeva, oltreché abilità, una grande pazienza durante la lunga fase preparatoria. Il sapore amaro della clandestinità, senza alcuna speranza di uscirne se non per entrare in galera?
Stretto nella morsa fra il dispetto e l'inconfessata ammirazione stava dibattendo fra sé e sé quale risoluzione intraprendere per uscire dal dubbio, quando un provvidenziale crash del disco rigido lo costrinse a reinstallare il sistema da zero, ricuperando solo i dati dal nastro di backup . Stava crogiolandosi fra rassicuranti luoghi comuni: piazza pulita, finalmente; muoia Sansone… ; non tutto il male vien per nuocere; estirpare il male alla radice ed altre scemenze simili, quando il tarlo riprese la sua opera. … e se il cavallo di Troia si fosse annidato, al sicuro da guasti, proprio fra i dati gelosamente replicati, anziché nelle sospette aree del sistema operativo, per riconquistare silenziosamente da lì l'intera macchina? Geniale!
Nell'immagine, Corte Isolani a Bologna, liberamente reinterpretata ai frattali
Nell'immagine, piazza Maggiore a Bologna liberamente "abbellita"
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) dom 01 giugno 2003 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)