NEW ROSE HOTEL: il testo
di William Gibson
Sette notti a pagamento in questa bara, Sandii.
New Rose Hotel. Come ti desidero, ora. Qualche volta ti colpisco. Rivivo
tutto adagio, dolcemente e crudelmente. Riesco quasi a sentirlo. Qualche
volta prendo dalla borsa la tua piccola automatica e faccio scorrere il pollice
sulla cromatura liscia, da poco prezzo. Una calibro 22 cinese, il foro della
canna non più grande della pupilla dilatata del tuo occhio scomparso.
Fox è morto, Sandii.
Fox mi aveva detto di dimenticarti.
Ricordo Fox appoggiato al bancone imbottito di un bar in qualche albergo
di Singapore, Bencoolen Street, le sue mani che descrivono sfere di influenza,
rivalità interne, l'arco di tutta una carriera, un punto debole scoperto
nella corazza di qualche centro di ricerca. Fox era un uomo di punta nella
guerra dei cervelli, l'intermediario del traffico interaziendale. Era un
soldato nella guerra segreta delle zaibatsu, le multinazionali che controllavano
intere economie.
Vedo Fox che sorride, parlando rapidamente, lasciando cadere il racconto
delle mie imprese nello spionaggio industriale con una scossa del capo. Il
Talento, diceva, devi cercare il Talento. Faceva sentire bene la T maiuscola.
Il Talento era il Sacro Graal di Fox, quella frazione di genio fondamentale,
non trasferibile, chiusa nel cervello dei migliori ricercatori del mondo.
Non si può mettere il Talento su carta, diceva Fox, non si può
registrare il Talento su un dischetto.
I disertori delle multinazionali significavano soldi.
Fox era un tipo simpatico. La severità dei suoi vestiti scuri era
temperata da una ciocca di capelli perenne scomposta, da ragazzino. Non mi
è mai piaciuto il modo; l'effetto si rovinava quando si spostava dal
bar. La spalla destra era contorta a un angolo che nessun sarto di Parigi
può nascondere. Qualcuno gli era passato sopra con un taxi, e nessuno
aveva saputo rimetterlo a posto. Immagino di essere andato con lui perché
mi aveva detto di essere alla ricerca del Talento.
E mentre cercavamo il Talento, a un certo punto, trovò te, Sandii.
Il New Rose Hotel è una rastrelliera di bare ai margini frastagliati
del Narita International. Capsule di plastica alte un metro e lunghe tre,
ammucchiate come denti di Godzilla in uno spiazzo di cemento ai lati della
strada principale per l'aeroporto. Ciascuna capsula ha una televisione montata
a filo del soffitto. Passo intere giornate a guardare concorsi a premio
giapponesi e vecchi film. Qualche volta tengo la tua pistola in mano. Qualche
volta sento i jet che intrecciano rotte di attesa sul Narita. Chiudo gli
occhi e immagino le scie nette e bianche che sfumano nel vento.
Tu stavi entrando in un bar di Yokohama, la prima volta
che ti ho vista. Eurasiana, mezza gaijin, anche lunghe e passo fluido, con
addosso la copia cinese di un modello di qualche stilista di Tokyo. Occhi
scuri, europei, zigomi asiatici. Ti ricordo mentre vuotavi la borsetta sul
letto, più tardi, in qualche stanza d'albergo, frugando fra gli arnesi
per il trucco. Un rotolo spiegazzato di nuovi yen, un'agendina sfasciata
tenuta insieme con elastici, un chip bancario Mitsubishi, passaporto giapponese
con il crisantemo d'oro stampato sulla copertina, e la 22 cinese.
Mi raccontasti la tua storia. Tuo padre era stato un dirigente, a Tokyo,
ma era caduto in disgrazia, ripudiato e umiliato dall'Hosaka, la più
grande zaibatsu di tutte.
Quella notte tua madre era olandese, e ti ascoltai mentre mi raccontavi
di quelle estati ad Amsterdam, i piccioni di piazza Dam come un tappeto marrone,
morbido.
Non ti ho mai chiesto cosa aveva fatto tuo padre per cadere in disgrazia.
Ti guardai mentre ti vestivi, guardai i tuoi capelli.
Adesso l'Hosaka mi sta dando la caccia.
Le bare del New Rose sono sistemate su una impalcatura riciclata. Tubi di
acciaio verniciati di chiaro. La pittura si stacca quando salgo la scaletta,
cade a ogni passo quando cammino sulla passerella. Con la sinistra conto
i portelli e le loro etichette poliglotte che avvertono della multa per la
perdita delle chiavi.
Alzo gli occhi a guardare gli aerei che partono da Narita, verso casa, lontana
adesso come la Luna.
Fox fu veloce ad accorgersi di come potevamo servirci di te, ma non abbastanza
acuto da attribuirti ambizioni. Ma d'altra parte, lui non
è mai rimasto sdraiato con te tutta la notte sulla spiaggia di Kamakura,
non ha mai ascoltato i tuoi incubi, non ha mai ascoltato i ricordi di
un'immaginaria infanzia mutare sotto quelle stelle, mutare e rotolare su
se stessa, la tua bocca da bambina che si apriva per rivelare qualche nuovo
passato, e ogni volta giuravi che era quello vero, quello autentico.
Non mi importava, mentre ti tenevo i fianchi, mentre la sabbia ti si raffreddava
sulla pelle.
Una volta mi hai lasciato e sei corsa verso quella spiaggia dicendo che avevi
dimenticato la nostra chiave. La trovai nella porta e venni a cercarti, e
ti trovai con i piedi nella risacca, la schiena liscia irrigidita, tremante,
gli occhi persi lontano. Non riuscivi a parlare. Avevi i brividi. Brividi
per futuri differenti e passati migliori.
Sandii, mi hai lasciato qui.
Mi hai lasciato tutte le tue cose.
Questa pistola. Il trucco, tutte le ombre e i rossori incapsulati in plastica.
Il microcomputer Cray, regalo di Fox, con una lista di spese che vi hai
registrato. Qualche volta la richiamo, facendo passare gli articoli sul piccolo
schermo argenteo.
Un frigorifero. Un fermentatore. Un'incubatrice. Un sistema di elettroforesi
con cella agarica integrata e transilluminatore. Un inclusore di tessuti.
Un cromatografo per liquidi ad alta capacità. Un citometro a flusso.
Uno spettrofotometro. Seicento fiale per scintillazione al boro-silicio.
Una microcentrifuga. E un sintetizzatore di DNA con computer incorporato.
Più il software.
Molto costoso, Sandii, ma allora era l'Hosaka a pagare il conto. Più
tardi li hai fatti pagare ancora di più, ma te n'eri già
andata.
Hiroshi aveva preparato quella lista per te. A letto, probabilmente. Hiroshi
Yomiuri. Lui era con la Maas Biolabs GmbH. L'Hosaka lo voleva.
Era uno dei migliori. Aveva Talento, in abbondanza. Fox seguiva gli ingegneri
genetici come un tifoso segue i giocatori della sua squadra. Fox voleva Hiroshi
a tal punto che gli sembrava di sentirselo nel sangue.
Mi aveva mandato a Francoforte tre volte prima che comparissi tu, soltanto
per farmi dare un'occhiata a Hiroshi. Non per tentare un approccio o fargli
un saluto. Solo per guardarlo.
Hiroshi aveva tutta l'aria di essersi sistemato. Aveva trovato una ragazza
tedesca appassionata di loden tradizionali e stivali da cavallerizza lucidi
color castano chiaro. Aveva comprato una casa ristrutturata, nella piazza
giusta della città. Aveva cominciato a tirare di scherma, abbandonando
il kendo.
E dappertutto le squadre di sicurezza della Maas, efficienti e massicce,
una melassa attaccaticcia di sorveglianti. Tornai e dissi a Fox che non saremmo
mai riusciti a raggiungerlo.
Tu lo raggiungesti per noi, Sandii. Lo raggiungesti nel modo migliore.
I nostri contatti con l'Hosaka erano come cellule specializzate che proteggevano
l'organismo-madre. Noi eravamo mutageni, Fox ed io, ambigui agenti che stavano
dalla parte nascosta dell'attività delle multinazionali.
Dopo averti piazzato a Vienna, gli offrimmo Hiroshi. Non fecero una piega.
Calma mortale in una stanza d'albergo, a Los Angeles. Dissero che dovevano
pensarci.
Fox disse il nome del principale concorrente dell'Hosaka nel campo genetico,
lo svelò nudo e crudo, violando il protocollo che vietava di fare
nomi.
Dissero che dovevano pensarci.
Fox gli diede tre giorni.
Una settimana prima di portarti a Vienna ti portai a
Barcellona. Ti ricordo con i capelli raccolti da un berretto grigio, gli
zigomi alti, mongolici, riflessi nelle vetrine dei negozi di antiquariato.
Passeggiando lungo le Ramblas, verso il porto fenicio, passando accanto al
Mercado dal tetto dorato, dove vendevano arance africane.
Il vecchio Ritz, con la nostra stanza calda e buia, e tutto il morbido peso
dell'Europa su di noi come una trapunta. Potevo penetrarti mentre dormivi.
Eri sempre pronta. Vedendo le tue labbra incurvarsi morbidamente per la sorpresa,
la tua faccia che affondava nel cuscino spesso e giallo... biancheria arcaica
del Ritz. Dentro di te immaginavo tutte quelle luci al neon, la folla che
si accalcava attorno alla stazione di Shinjuku, pazzesca notte elettrica.
Tu ti muovevi in quella maniera, il ritmo della nuova era, sognante e lontano
dal suolo di qualsiasi nazione.
Quando siamo arrivati a Vienna ti ho sistemato nell'albergo preferito della
moglie di Hiroshi. Tranquillo, solido, hall con pavimento a scacchi di marmo,
ascensori di ottone profumati di olio di limone e sigari. Era facile immaginarla
lì, con gli stivali da cavallerizza lucidi riflessi sul marmo, ma
noi sapevamo che non sarebbe venuta, non quella volta.
Era in qualche stazione della Renania, e Hiroshi era a Vienna per una conferenza.
Quando gli uomini della Maas arrivarono per ispezionare l'albergo, tu ti
eri eclissata.
Hiroshi arrivò un'ora dopo, da solo.
Immagina un alieno, mi aveva detto una volta Fox, che arrivi sulla Terra
per identificare la forma di intelligenza dominante del pianeta. Un alieno
dà un'occhiata e poi sceglie. Cosa pensi che abbia scelto? Io
probabilmente alzai le spalle.
Le zaibatsu, disse Fox, le multinazionali. Il sangue di una zaibatsu è
fatto di informazioni, non di gente. La struttura è indipendente dalle
vite individuali che la compongono. Le aziende sono una forma di vita.
Io gli avevo detto di non farmi un'altra conferenza sul Talento.
Lui aveva detto che la Maas non era così, ignorandomi.
La Maas era piccola, veloce, spietata. Un arcaismo. La Maas era tutto
Talento.
Ricordo Fox parlare della natura del Talento di Hiroshi. Nucleasi radioattive,
anticorpi monoclonali, qualcosa che aveva a che fare con la concatenazione
delle proteine, dei nucleotidi... Fox le chiamava proteine calde. Catene
ad alta velocità. Diceva che Hiroshi era un fenomeno, il tipo capace
di mandare in frantumi i paradigmi, di rovesciare un campo intero del sapere,
di costringere con la forza alla revisione di un intero corpo di conoscenze.
Brevetti fondamentali, diceva, con la voce arrochita immaginando simili
ricchezze, l'odore ideale acuto e sottile dei milioni esentasse che
emanavano.
L'Hosaka voleva Hiroshi, ma il suo Talento era tanto radicale da
preoccuparli. Lo volevano per farlo lavorare in isolamento.
Andai a Marrakech, nella città vecchia, la Medina. Trovai un laboratorio
per la raffinazione dell'eroina convertito per l'estrazione di feromoni.
Lo comprai, con i soldi dell'Hosaka.
Passeggiai nel mercato di Djemaa-el-Fta con un uomo d'affari portoghese
sudaticcio, discutendo dell'illuminazione fluorescente e dell'installazione
di gabbie ventilate per animali da esperimento. Oltre le mura della città
si vedeva la catena dell'Atlante. Djemaa-el-Fta era piena di saltimbanchi,
danzatori, narratori di storie, ragazzini che facevano girare i torni a pedale,
mendicanti senza gambe che protendevano le tazze di legno sotto ologrammi
animati che propagandavano software francesi.
Camminammo accanto a balle di lana grezza e bidoni di plastica con microchip
cinesi. Gli diedi a intendere che i miei datori di lavoro intendevano fabbricare
beta-endorfina sintetica. Conviene dire sempre qualcosa che possano capire.
Sandii, ti ricordo ad Harajuku, qualche volta. Chiudo gli
occhi in questa bara e ti vedo là, fra lo scintillio del labirinto
di cristallo delle boutique, l'odore dei vestiti nuovi. Vedo i tuoi zigomi
passare davanti agli scaffali cromati di pelletteria di Parigi. Qualche volta
ti stringo la mano.
Credevamo di averti trovato, Sandii, ma in realtà eri stata tu a trovare
noi. Adesso so che ci stavi cercando, noi o qualcuno come noi. Fox era felice,
sorrideva per la nostra scoperta: un nuovo, delizioso strumento, scintillante
come un bisturi. Proprio quello che ci serviva per separare un Talento ostinato
come Hiroshi dalla placenta della Maas Biolab.
Dovevi aver cercato a lungo una via d'uscita, durante tutte quelle notti
a Shinjuku. Notti che avevi accuratamente eliminato dal mazzo rimescolato
del tuo passato.
Il mio passato era sparito anni prima, perso insieme a tutto il resto, nessuna
traccia. Capisco l'abitudine di Fox, a tarda notte, di vuotare il portafoglio
e frugare tra i documenti di identificazione. Distribuiva i pezzi in
configurazioni diverse, li spostava, aspettando che si formasse
un'immagine. Sapevo cosa cercava. Tu facevi la stessa cosa con le tue
svariate infanzie.
Nel New Rose, questa notte, scelgo una carta dal tuo mazzo di passati.
Scelgo la versione originale, il famoso testo della stanza d'albergo di Yokohama,
recitatomi durante quella prima notte a letto. Scelgo il padre in disgrazia,
il dirigente dell'Hosaka. Perfetto. E la madre olandese, le estati ad Amsterdam,
il morbido tappeto di piccioni nel pomeriggio sulla piazza Dam.
Passai dal caldo di Marrakech all'aria condizionata dell'Hilton. La camicia
umida appiccicata alla schiena mentre leggevo il messaggio che mi avevi trasmesso
attraverso Fox. Stavi arrivando; Hiroshi avrebbe lasciato la moglie. Non
ti fu difficile comunicare con noi, anche attraverso la cortina strettissima
dei servizi di sicurezza della Maas; avevi mostrato a Hiroshi il posticino
perfetto per prendere caffè con croissant. Il tuo cameriere preferito
era gentile, coi capelli bianchi, zoppicava, e lavorava per noi. Lasciavi
i messaggi sotto il tovagliolo di lino.
Per tutta la giornata ho guardato un piccolo elicottero che passava più
volte come per uno schema preciso sopra questo mio territorio, la terra del
mio esilio, il New Rose Hotel. Ho guardato dal portello mentre la sua ombra
paziente attraversava il cemento macchiato di olio. Vicino, molto vicino.
Lasciai Marrakech per Berlino. Mi incontrai con un gallese in un bar, e cominciai
ad organizzare la sparizione di Hiroshi.
Sarebbe stata una faccenda complicata, intricata come gli ingranaggi di ottone
e gli specchi mobili dei trucchi da palcoscenico vittoriani, ma l'effetto
desiderato era abbastanza semplice. Hiroshi sarebbe passato dietro una Mercedes
a cellule d'idrogeno e sarebbe sparito. La decina di agenti della Maas che
lo seguivano costantemente avrebbero sciamato attorno al furgone come api;
l'apparato di sicurezza della Maas si sarebbe accentrato attorno al punto
di sparizione come una resina.
Sanno come fare le cose a dovere, a Berlino. Riuscii perfino ad organizzare
un'ultima notte con te. Non lo dissi a Fox, avrebbe potuto disapprovare.
Adesso ho dimenticato il nome della città. L'ho saputo per un'ora,
sull'autostrada, sotto il grigio cielo renano, e l'ho dimenticato fra le
tue braccia.
Verso mattina cominciò a piovere. La nostra stanza
aveva un'unica finestra alta e stretta, da dove guardavo la pioggia che ricopriva
il fiume di aghi argentei. Il rumore del tuo respiro. Il fiume scorreva sotto
bassi archi di pietra. La strada era vuota. L'Europa era un museo morto.
Ti avevo già prenotato un posto sul volo per Marrakech in partenza
da Orly, usando il tuo ultimissimo nome. Saresti stata lontana quando avessi
tirato gli ultimi fili e fatto sparire Hiroshi.
Avevi lasciato la borsetta sul vecchio cassettone scuro. Mentre dormivi frugai
fra le tue cose, togliendo tutto quello che poteva entrare in conflitto con
la nuova identità che ti avevo comprato a Berlino. Tolsi la calibro
22 cinese, il microcomputer e il chip bancario. Dalla mia borsa presi un
nuovo passaporto olandese, il chip di una banca svizzera intestato allo stesso
nome, e li infilai nella tua borsa,
Sfiorai con la mano qualcosa di piatto. Lo tirai fuori. Un dischetto, senza
etichetta.
Era lì nel palmo della mia mano, quella morte latente, codificata,
in attesa.
Rimasi in piedi a guardarti respirare, guardandoti i seni alzarsi e abbassarsi.
Vedevo le tue labbra semiaperte, e sul labbro inferiore un po' sporgente
la lievissima traccia di un livido. Rimisi il dischetto nella tua borsetta.
Quando mi stesi al tuo fianco ti rotolasti contro di me, svegliandoti, e
nel tuo respiro c'era tutta la notte elettrica di una nuova Asia, il futuro
che ti saliva dentro come un fluido luminoso, che mi toglieva tutto tranne
il momento presente. Era questa la cosa veramente magica: che vivevi al di
fuori della storia, tutta nel presente.
E sapevi come prendermi. Per l'ultima volta, mi prendesti. Mentre mi radevo
ti sentii vuotare gli arnesi per il trucco nella mia borsa. Sono olandese
ora, dicesti; voglio un nuovo look.
Il dottor Hiroshi Yomiuri scomparve a Vienna, in una tranquilla traversa
della Singerstrasse, a due isolati dall'albergo preferito della moglie. In
un chiaro pomeriggio di ottobre, alla presenza di una dozzina di testimoni,
il dottor Yomiuri svanì.
Passò attraverso uno specchio. Da qualche parte, dietro le quinte,
il movimento ben oliato di un meccanismo vittoriano. Io ero seduto in una
stanza d'albergo di Ginevra quando ricevetti la chiamata del gallese. Era
fatta, Hiroshi si era infilato nella mia trappola ed era partito per Marrakech.
Mi versai da bere pensando alle tue gambe.
Fox ed io ci incontrammo a Narita il giorno dopo, in un bar del terminal
della JAL. Lui era appena sceso da un aereo della Air Maroc, esausto e
trionfante.
Disse che gli piaceva, intendendo Hiroshi. Disse che l'amava, intendendo
te. Io sorrisi. Mi avevi promesso di incontrarmi a Shinjuku fra un mese.
La tua pistola da poco prezzo, nel New Rose Hotel. La cromatura comincia
a staccarsi. Il meccanismo è rozzo, con caratteri cinesi stampati
sull'acciaio ruvido. l!impugnatura è di plastica rossa, con un drago
su ciascun lato. Come un giocattolo.
Fox mangiò sushi nel terminal della JAL, su di giri per quello che
avevamo fatto. La spalla gli aveva dato dei fastidi, ma diceva che non gli
importava. Adesso aveva i soldi per andare da medici migliori. Soldi per
tutto.
Per qualche ragione i soldi che avevamo preso dall'Hosaka non mi sembravano
molto importanti. Non che dubitassi della nostra nuova ricchezza, ma quell'ultima
notte con te mi aveva lasciato la convinzione che tutto venisse con naturalezza,
nel nuovo ordine delle cose, come funzione di chi e cosa eravamo.
Povero Fox. Con le sue camicie oxford azzurre più linde che mai, i
suoi abiti di Parigi più scuri e più lussuosi. Seduto nel terminal,
mentre intingeva il sushi in un piccolo vassoio rettangolare di barbaforte
verde, aveva meno di una settimana di vita.
E' buio adesso, e le rastrelliere di bare del New Rose sono illuminate tutta
notte da riflettori posti in cima a piloni di metallo verniciato. Nulla qui
pare servire al suo scopo originale. E' tutto di seconda mano, riciclato,
anche le bare. Quarant'anni fa queste capsule di plastica erano ammucchiate
a Tokyo o a Yokohama, una moderna comodità per uomini d'affari in
viaggio. Forse tuo padre ha dormito in una di esse. Quando le impalcature
erano nuove circondavano l'una o l'altra delle torri con i vetri a specchio
sulla Ginza, piene di squadre di operai.
Il vento, questa notte porta il frastuono di una sala di pachinko, l'odore
di verdure cotte dai venditori ambulanti dall'altra parte della strada. Spalmo
pâté di krill al granchio su cracker di riso. Sento gli aerei.
Durante quegli ultimi giorni a Tokyo, Fox ed io avevamo appartamenti contigui
al cinquantaduesimo piano dell'Hyatt. Nessun contatto con l'Hosaka. Ci avevano
pagato, poi ci avevano cancellato dai loro archivi aziendali.
Ma Fox non riusciva a dimenticarlo. Hiroshi era la sua creazione, il suo
progetto del cuore. Aveva sviluppato un interesse possessivo, quasi paterno
per Hiroshi. Lo amava per il suo Talento. Perciò Fox mi faceva restare
in contatto con il mio uomo d'affari portoghese nella Medina, il quale era
disposto a tenere d'occhio il laboratorio di Hiroshi per noi.
Quando telefonava lo faceva da una cabina pubblica a Djemaa-el-Fta, con
sottofondo di voci lamentose di venditori e di flauti dell'Atlante. Disse
che uomini dei servizi di sicurezza stavano arrivando a Marrakech. Fox
annuì. Hosaka.
Dopo meno di dieci chiamate notai un cambiamento in Fox, una certa tensione,
lo sguardo perso nel vuoto. Lo trovavo davanti alla finestra a guardare i
giardini imperiali da un'altezza di 52 piani, perso in qualcosa di cui non
voleva parlare.
Chiedigli una descrizione più dettagliata, disse, dopo una chiamata.
Aveva l'impressione che un uomo che il nostro contatto aveva visto entrare
nel laboratorio di Hiroshi potesse essere Moenner, il capo della divisione
genetica dell'Hosaka.
Dopo la chiamata successiva confermò che era Moenner. Dopo un'altra
ancora gli parve di aver identificato Chedanne, capo della squadra proteine
dell'Hosaka. Nessuno dei due era stato visto fuori dall'arcologia dell'azienda
da più di due anni.
Ormai era evidente che i ricercatori di punta dell'Hosaka stavano arrivando
alla chetichella alla Medina, i Lear dirigenziali neri che arrivavano
all'aeroporto di Marrakech su alianti in fibra di carbonio. Fox scosse la
testa. Era un professionista, uno specialista, e vide in quell'improvviso
assieparsi dei migliori Talenti dell'Hosaka nella Medina un drastico errore
nell'operato della multinazionale.
Cristo, disse versandosi un bicchiere di Black Label, hanno la loro sezione
biologica al completo, laggiù. Una bomba. Scosse la testa. Una granata
nel posto giusto e al momento giusto...
Gli ricordai le tecniche di saturazione che sicuramente i servizi di sicurezza
dell'Hosaka stavano impiegando. L'Hosaka aveva dei contatti nel cuore della
Dieta, e la forte infiltrazione di agenti a Marrakech poteva avvenire solo
con la conoscenza e la cooperazione del governo marocchino.
Lascia perdere, dissi. è finita. Gli hai venduto Hiroshi. Adesso lascia
perdere.
Lo so cos'è, disse. Lo so. l'ho già visto una volta. Disse
che esiste un certo fattore imprevedibile nel lavoro di laboratorio. Il talento
del Talento, lo chiamava. Succede quando un ricercatore sviluppa qualcosa
di completamente nuovo e altri trovano impossibile duplicare i
risultati.
Questo era ancora più probabile con Hiroshi, il cui lavoro andava in direzione contraria alle teorie correnti nel suo campo. La risposta, spesso, consisteva nel far venire il ricercatore dal suo laboratorio in quello dell'azienda, per scoprire ritualmente le carte. Qualche piccola regolazione delle apparecchiature e il processo funzionava. E' strano, disse, nessuno sa perché succeda così, ma succede. Sorrise.
Ma stanno correndo un rischio, disse. I bastardi ci hanno detto che volevano isolare Hiroshi, tenerlo lontano dal loro centro di ricerca. Balle. Scommetto la camicia che c'è qualche lotta per il potere in corso all'Hosaka. Qualche pezzo grosso sta portando lì i suoi pupilli per strofinarli su Hiroshi come se fosse un portafortuna. Quando Hiroshi manderà a gambe all'aria l'ingegneria genetica, quelli della Medina saranno pronti.
Bevve il suo whisky e alzò le spalle.
Vai a letto, disse. Hai ragione, è finita.
Andai a letto, ma il telefono mi svegliò. Era Marrakech, i disturbi statici del collegamento via satellite, un fiotto di parole spaventate, in portoghese.
L'Hosaka non ci bloccò il conto, no. Lo vaporizzò. Come l'oro delle fate. Prima eravamo milionari, nella valuta più forte del mondo, un minuto dopo eravamo diventati poveri. Svegliai Fox.
Sandii, disse. Ci ha venduto. I servizi della Maas l'hanno assoldata a Vienna. Cristo.
Lo guardai sventrare la sua vecchia valigia con un coltello a serramanico dell'esercito svizzero. C'erano tre piastre d'oro incollate lì. Piastre morbide, con il marchio del tesoro di qualche governo africano estinto.
Non avresti dovuto vederlo, disse, con voce atona.
No, dissi io. Credo di aver detto il tuo nome.
Dimenticala, mi disse. L'Hosaka ci vuole morti. Penseranno che li abbiamo traditi. Prendi il telefono e controlla il nostro conto. Il nostro conto era sparito. Quelli della banca negarono che noi due avessimo mai avuto un conto.
Tagliamo la corda, disse Fox. Corremmo. Dalla porta di servizio, nel traffico di Tokyo, giù fino a Shinjuku. Fu lì che compresi per la prima volta fin dove giungeva il potere dell'Hosaka. Gente con cui facevamo affari da due anni ci vedeva arrivare, ed era come se chiudessero la saracinesca dei ricordi. Uscivamo prima che potessero mettere le mani sul telefono. La tensione superficiale del mondo illegale si era triplicata, e dovunque incontravamo la stessa membrana tesa venivamo respinti. Nessuna possibilità di scomparire, di sfuggire.
L'Hosaka ci lasciò scappare per la maggior parte del primo giorno. Poi mandarono qualcuno a rompere la schiena a Fox una seconda volta. Non li vidi farlo, ma vidi Fox cadere. Eravamo in un grande magazzino di Ginza un'ora prima della chiusura, e lo vidi cadere dall'ammezzato scintillante, in mezzo alle merci della nuova Asia.
Mi mancarono, non so perché, e continuai a scappare. Fox aveva con sé l'oro, ma avevo un centinaio di nuovi yen in tasca. Scappai. Fino al New Rose Hotel.
E' arrivato il momento.
Vieni da me, Sandii. Ascolta il ronzio delle luci al neon sulla strada per il Narita International. Le ultime falene tracciano cerchi interrotti attorno ai riflettori che illuminano il New Rose.
E la cosa buffa, Sandii, è che qualche volta non mi sembri neppure vera. Fox una volta ha detto che tu sei un ectoplasma, un fantasma richiamato dalle forze dell'economia. Fantasma del nuovo secolo, coagulato su mille letti negli Hyatt del mondo, negli Hilton del mondo.
Adesso ho la tua pistola in mano, nella tasca della giacca, e la mia mano sembra lontana. Staccata da me.
Ricordo il mio amico d'affari portoghese che si era dimenticato l'inglese e cercava di spiegarsi in quattro lingue che io capivo appena, e pensavo che mi stesse dicendo che la Medina stava bruciando. Non la Medina. I cervelli dei migliori ricercatori dell'Hosaka. Un'infezione, sussurrava il mio uomo, infezione, febbre e morte.
L'astuto Fox mise tutto assieme mentre scappavamo. Non dovetti nemmeno dirgli di aver trovato il dischetto nella tua borsetta, in Germania. Qualcuno aveva riprogrammato il sintetizzatore di DNA, disse. Quella cosa serviva per costruire da un giorno all'altro la macromolecola giusta. Con il computer integrato e il software su ordinazione. Costoso, Sandii. Ma non così costoso come alla fine risultasti tu per l'Hosaka. Spero che la Maas ti abbia pagato bene.
Il dischetto nella mia mano. Pioggia sul fiume. Sapevo, ma non potevo ammetterlo. Rimisi il codice per il virus meningeo nella tua borsetta e mi stesi accanto a te.
Così Moenner è morto, insieme agli altri ricercatori dell'Hosaka. Compreso Hiroshi. Chedanne ha subito danni permanenti al cervello. Hiroshi non aveva preso precauzioni per la contaminazione. Le proteine che fabbricava erano innocue. Così il sintetizzatore è rimasto acceso tutta la notte a costruire un virus secondo le indicazioni della Maas Biolabs GmbH.
Maas. Piccola, veloce, spietata. Tutta Talento.
La strada per l'aeroporto è una lunga striscia dritta. Stai
nell'ombra. E io che gridavo a quella voce portoghese, chiedendole cosa fosse
successo alla ragazza, alla donna di Hiroshi. Svanita, disse. Il ronzio di
un meccanismo vittoriano.
Così Fox doveva cadere, cadere con le sue tre patetiche piastre d'oro,
e fracassarsi la spina dorsale per l'ultima volta. Sul pavimento del grande
magazzino di Ginza, tutti i clienti che spalancavano gli occhi, un istante
prima di gridare.
Non riesco a odiarti, amore.
E l'elicottero dell'Hosaka è tornato, senza luci, a caccia con
l'infrarosso, cercando il calore del corpo. Un gemito attutito mentre ruota,
a un chilometro di distanza, tornando verso di noi, verso il New Rose. Un'ombra
fin troppo rapida contro le luci di Narita.
Va tutto bene, bambina. Ma torna, ti prego. Prendimi la mano.
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