Senzanome

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Chi pretende la simmetria e l’unformità farà meglio a guardare per terra, se gli capiterà di passare in via Senzanome, una delle strette strade del centro storico di Bologna. Qui l’individualismo più spensierato e l’esigenze abitatative personali hanno trovato il più ampio sfogo per consolidarsi, immutate nei secoli, nell’anarchia più disinvolta.
Se non passeranno le ruspe demolitrici di un novello Napoleone che sfondi, smantelli e cancelli secoli di sedimentazioni urbanistiche, aprendo larghe strade diritte per il passaggio di truppe e cannoni, c’è da pensare che porte e finestre di tutte le misure e di tutti i colori continueranno a coesistere allegramente l’una accanto all’altra, come fanno da sempre.

Anche il nome della strada che ospita tanta stravaganza e spontaneità architettonica è adeguato: via Senzanome, non è certo banale né comune.
E’ abbastanza noto ai bolognesi che a determinare il nome fu una frettolosa riqualificazione toponomastica, in nome della decenza più bacchettona e priva d’inventiva, da parte di un funzionario comunale in occasione della visita pastorale dell’arcivesco alla contrada. I popolani che l’abitavano l’avevano sempre chiamata via Sfregatette, per sottolinearne la larghezza angusta che costringeva i passanti a sfiorarsi, non senza qualche gustoso vantaggio.
Per qualche imperscrutabile ragione, passata la festa, nessuno ha poi provveduto ad attribuirle un nome meno stravagante e provvisorio o a ripristinare il vecchio toponimo popolare, che invece, generazione dopo generazione, ha finito col soccombere alla indiscutibile ufficialità del nome inciso sulla tabella, per sopravvivere solo nelle leggende urbane.
Dell’altrettanto stravagante toponimo “Centotrecento” attribuito ad un’altra strada popolare di Bologna, parleremo in altra occasione.

“Ma che burloni!” direbbe Gilberto Govi.

Clicca sulle due immagini piccole di via Senzanome per ingrandirle-

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