Perline africane

lun 19 luglio 2010

“Dr. Livingstone, I presume.” la celebre frase, nel pomposo stile vittoriano, con cui Stanley, partito alla ricerca dell’esploratore Livingstone lo salutò, dopo averlo trovato, in capo a due anni, in un villaggio sperduto nel cuore dell’Africa, mi risuonava in mente mentre passeggiavo lungo la riva adriatica, deturpata da una fila di bancarelle rudimentali gestite da ragazzi africani, ricolme di collanine e perline colorate,.
Numerose signore e giovanottine, con o senza il corredo di pazienti partner maschili, le affollavano, apparentemente interessate alla coloratissima paccottiglia da due soldi, come doveva accadere quando gli esploratori della generazione di Livingstone raggiungevano i villaggi più remoti dell’Africa centrale e mostravano la merce che si erano portati appresso per attenuare l’ostilità e la diffidenza degli indigeni.
Ieri come oggi si trattava di perline di vetro, la sola differenza è che si sono invertiti i ruoli: oggi ardimentosi ragazzi africani si spingono nei nostri villaggi balneari con simili provviste di ciondoli e collane per conquistare l’attenzione delle indigene che abboccano di buon grado, a quanto è dato di vedere.

Il lato positivo della faccenda, volendone trovare uno, è che questo commercio si svolge in postazioni fisse, ancorché estremamente rudimentali e precarie: un’evoluzione indubbia rispetto alle profferte petulanti dei “vukkumprà” old style che si aggiravano fra gli ombrelloni, tormentosi come mosche. Questa seconda generazione ha adottato, invece, la tecnica del ragno: al mattino montano le loro ragnatelle-bancarelle sul bagnasciuga e vi si piazzano dietro, immobili, in attesa che le acquirenti-mosche finiscano spontaneamente nella loro tela.
Sono curioso di vedere quali saranno gli ulteriori sviluppi di questo commercio che risulta così vitale da sopravvivere al mutare dei tempi, dei luoghi e dei costumi: fra il formalisimo dei Livingstone di ieri e le ciccione da sbarco in due pezzi panterato di oggi la differenza è notevole, a colpo d’occhio.

Sfogliare il telefonino

dom 18 luglio 2010 Per la prima volta in vita mia ho letto un intero libro sul mio nuovo telefonino Android. Non parlo mai in questo blog della mie letture, non so perché, anche se leggere è una delle occupazioni prevalenti della mia vita intera, ed in particolare di questi ultimi anni, durante i quali ho più tempo per leggere quello che mi pare.
Il primo romanzo letto confortevolmente, molto confortevolmente, sul telefonino è stato “Non qui, non ora” di Erri De Luca a cui è seguito, a ruota, “Il peso della farfalla” dello stesso autore. Entrambi mi sono piaciuti molto, ma non è dei libri che voglio parlare, piuttosto dello strumento di lettura che mi ha sorpreso per la sua efficienza. Infatti, prima di provarlo, non lo ritenevo niente di più di uno strumento di emergenza, invece ho scoperto che si può “divorare” un intero romanzo, anzi due, seduti in poltrona o distesi a letto, anche al buio, tenendo e sfogliando comodamente “il libro” con una sola mano.
Infatti il telefonino è leggero, lo schermo in bianco e nero è regolabile a piacere per luminosità, contrasto e dimensione dei caratteri che possono essere neri su bianco o bianchi su nero. I quattro pollici di diagonale dello schermo contengono poche righe di testo, ma, unite alla comodità di sfogliare le paginette con un leggero tocco della stessa mano che regge “il libro”, non affaticano affatto né rallentano il procedere, anzi. Impagabile poi la possibilità di leggere a letto, restando a finestre aperte completamente al buio per far entrare la brezza nottturna, senza invitare anche le zanzare.

Le poche mosse necessarie per avere una piccola collezione di romanzi nella memorietta del telefonino, partendo da comuni file pdf (l’equivalente degli mp3 per i brani musicali e quasi altrettanto diffusi in rete) consistono nel convertire il formato da pdf in epub con il programma gratuito Calibre, installare sul telefonino Android il programma gratuito Wordplayer, trasferire via cavo i testi nella memoria del telefonino ed infine “importarli” nella libreria di Wordplayer con il quale sarà possibile leggerli, regolando a piacere la dimensione dei caratteri e la luminosità delle pagine. Molto comoda è anche la possibilità d’inserire facilmente segnalibri, in modo da poter riprendere la lettura nel punto in cui ci si era fermati.

Un’alternativa ancora più semplice è scaricare direttamente e gratuitamente dal market Android il software Kindle, registrarsi sul sito di Amazon fornendo i dati della propria carta di credito e scaricare un libro dall’immensa libreria (quasi tutta in inglese) di Amazon direttamente sul proprio telefonino in poche decine di secondi e per pochi dollari. Io ho preso Pinocchio in italiano per meno di quattro dollari e ho potuto ricominciare la lettura del capolavoro di Collodi pochi minuti dopo. Fantastico! E’ sperabile che i nostri editori si rendano conto della potenzialità dello strumento e vincano i loro timori e l’attuale letargia, in modo che si trovino per pochi euro edizioni ufficiali di testi in italiano come accade per quelli in lingua inglese.

acca due o

Premesso che io, quando sono in casa, bevo l’acqua del rubinetto e la trovo buona, al ristorante mi adatto alla minerale. L’altro giorno, uscendo appunto dal ristorante, ero reduce da una bottiglia di acqua imbottigliata frizzante, in mancanza di una brocca d’acqua come si usava un tempo, quando mi sono imbattuto in una vetrina di preziose acque minerali: tutte e solo in bottigliette di fogge strane, piuttosto piccole e dalle origini esotiche come le isole Fiji o più domestiche come le isole britanniche o l’America del Nord.

Non si trattava di “normali” bottiglie d’acqua minerale, seppure forestiere, ma di una specie di chanel-numero-cinque da bere in un bicchierino d’argento facendo schioccare il palato e prodigandosi immediatamente in iperboliche lodi, suppongo. Dico, “soppongo” perché finora non mi è mai capitato di vedere dal vivo la scena di uno di questi sommelier d’acqua dolce mentre si esibisce nell’assaggio di un sorso d’acqua delle isole Fiji, fra le poche nazioni che si fregiavano, fra l’altro, di celebri cannibali, fino all’altro ieri.

Non che io abbia una stima molto maggiore dei più diffusi sommelier di vino. Su questo punto trovo impagabili le parodie che ne ha fatto Antonio Abanese. Clicca qui per vederne una

Quando a scuola studiavamo le proprietà dell’acqua, ci dicevano che è l’elemento basilare per l’esistenza della vita, consiste di molecole composte di Idrogeno e Ossigeno (H2O, appunto) e si presenta come un liquido incolore, insapore e inodore e questo è quello che mi aspetto dall’acqua che bevo: che non sappia di niente, sia bella limpida e non emani strani odori come quella al cloro delle piscine o la famigerata acqua con puzza di acido fenico del dopo guerra. Ricordo che da bambino, appena prima di pranzo, era diffuso il rito di acidulare e frizzantare una bottiglia d’acqua non propriamente inodore con le due bustine d’Idrolitina o, seguendo una diversa scuola di pensiero, con la mono-bustina Idriz. Io non ero un patito di questo costume, ma da bambini si mangia e si beve quello che ti danno i grandi. Tutti consentivano, però, che avere l’acqua corrente in casa che sgorgava inesauribile dal rubinetto era una grande comodità che risparmiava i viaggi con il secchio fino alla fontana o il più comodo armeggiare con fune e carrucola per estrarla dal pozzo di casa.
Quest’ultima situazione è ancora molto diffusa in vaste aree del mondo, per non parlare di situazioni ancora peggiori, e, sebbene i pittoreschi ottoni dei venditori d’acqua turchi siano ormai scomparsi, rimpiazzati da più anonime e pratiche taniche di plastica, fra gli assetati che bevono l’acqua torbida di pozzi simili a pozzanghere e gli acquirenti delle preziose bottigliette la forbice sembra essersi allargata, in barba alla cosiddetta globalizzazione. Che sia un segno di progresso?

Le foto di bottiglie le ho scattate con il telefonino a Bologna in via Ugo Bassi. Il venditore d’acqua è preso dalla rete e il sommelier è su youtube.

Con il caldo, stare leggeri

giovedì 08 luglio 2010

Uscendo dalla confortevole penombra della biblioteca “Sala Borsa” dove, in questi giorni canicolari, si possono leggere riviste e giornali in santa pace, mi sono imbattuto in questo gruppetto di turiste masochiste che, appoggiati gli zaini da venti kili, rifiatavano un momento all’ombra di palazzo D’Accursio a Bologna, prima di riprendere il loro assurdo cammino. Ho fatto appena in tempo a scattare questa foto con il telefonino che già ripartivano, mentre io ammiravo la tenuta “da-dio” del Nettuno: bello nudo e circondato da zampilli di acqua fresca. Tu sì che la sai lunga!

Nonsense

lun 28 giugno 2010

C’era un vecchio di Brisighella
che mangiava solo pane e mortadella
né pioggia o sole né tempesta o vento
lo distoglievan dal suo comportamento
quel metodico vecchio di Brisighella

Questo mio Limerick è un tipico prodotto fatto in casa come i tortellini di Natale. Il maestro di questo genere di “nonsense”, poco popolare in Italia, è Edward Lear, un inglese dell’800, abile disegnatore e grande viaggiatore, che morì a San Remo nel 1888.
In italiano i suoi limericks sono conosciuti nella traduzione di Carlo Izzo che amava lo spirito di Lear e pubblicò “Il libro delle follie” (Neri Pozza editore, Venezia 1954) e, più tardi, “Il libro dei nonsense” (Einaudi editore, Torino 1970). Entrambi sono impreziositi da illuminanti introduzioni sul nonsense dello stesso Izzo e corredati delle illustrazioni che Lear disegnò ad accompagnamento e completamento dei testi che, nelle sue intenzioni, erano destinati ai ragazzi.
Solo il volume del 1970 contiene, accanto alla traduzione illustrata, anche il testo originale in inglese.
Riporto qui sotto un limerick preso dal volume del ’54 non perché sia più significativo di altri, ma perché, dopo quarant’anni, ancora mi suona nell’orecchio recitato dalla calda voce comunicativa di Carlo Izzo che, per una ragione che ignoro, lo portava come esempio, calcando sull’aggettivo “romantico” dell’ultimo verso: chiave di volta interpretativa del tutto.

Chi volesse saperne un po’ di più su Edward Lear clicchi qui ; mentre chi volesse leggersi qualche altro limeric di Lear (purtroppo privo delle illustrazioni di corredo) clicchi qui
La ragione che mi ha indotto, dopo decenni di oblio, a ripescare dagli scaffali di casa i due volumi di nonsense, amati e dimenticati, è un “incontro” casuale in rete. Partendo da un articolo sul supplemento culturale della domenica de Il sole 24ore e passando dagli spiritosissimi Green Porno di Isabella Rossellini, mi sono imbattutto in alcuni “Video senza senso” cioè dei nonsense in formato clip video. La trasmigrazione dall’ottocentesca carta&penna al video-clip ha stuzzicato la mia curiosità, così ne ho guardato alcuni e ne propongo qui sotto il primo al quale seguono altri

Morì per aver perso un telefonino

lun 24 maggio 2010 Molti anni fa era ben nota una barzelletta che raccontava del visitatore di un cimitero scozzese, stupito nel leggere su di una lapide “Morì per aver perso un soldino” e, ancora di più, nel leggere sulla lapide accanto “Morì …”. (Chi non consce il resto della storiella mi scriva che gliela racconto.)

Ebbene, in questi giorni un venticinquenne laureato cinese della ditta Foxconn si è buttato dal quarto piano, dopo aver perso un prototipo di iPhone che doveva custodire gelosamente al riparo da avidi sguardi di spie industriali. Non so se sulla sua tomba abbiano scritto “Morì per aver perso un telefonino”, né tantomeno conosco il contenuto della lapide accanto, ma c’è poco da ridere, visto che i suicidi di giovani e giovanissimi impiegati nella stessa fabbrica, nove per ora, si sono susseguiti a ritmo allarmante e hanno indotto i proprietari ad assumere psicologi e monaci buddisti per vedere di arrestare la moria.

Che clima si respiri in quella fabbrica non è stato ancora accertato da osservatori esterni neutrali. Per ora sappiamo solo che la ditta ha pagato alla famiglia del giovane suicida 52.000 dollari e un vitalizio ai suoi genitori di 4400 dollari all’anno.

Questa storia mi ha ricordato il bellissimo film Café express di Nanni Loy nell’episodio in cui Nino Manfredi ascolta, con incredula amarezza, i parenti di un guardiano notturno, morto ammazzato nel difendere il cantiere, esprimere la loro gratitudine al padrone che ne ha pagato il funerale.

Troppo buono, Lei!

Fratello eleganza

mar 18 maggio 2010 Fratello eleganza

fratello  eleganza

“(ANSA) – SHANGHAI, 18 MAG – Da barbone a icona della moda. E’ la parabola di un barbone di Ningbo, una citta’ della Cina nordorientale. Grazie ad una foto su internet, e’ diventato ‘Fratello Eleganza’, richiesto da diverse case di moda. Il giovane e’ stato fotografato da una ragazza che ha messo la foto in un social network. La foto e’ stata la piu’ cliccata, tanto che l’attenzione e’ montata intorno al giovane ed ora il suo stile trasandato viene copiato da diversi ragazzi.”

Durante una scorribanda sulle notizie ANSA nel settore Tecnologia e Internet, mi sono imbattuto in questa notizia che mi ha sorpreso, benché il mio livello di sorprendibilità sia piuttosto basso, ormai. Di barboni se ne vedono in giro parecchi con cui stabilire un confronto e debbo riconoscere che questo cinese è più dignitoso della media, ma da qui a farlo assurgere a “Fratello eleganza” ce ne corre parecchio.

Detta brutalmente, mi sembra ci sia una bella confusione sui canoni estetici, anche limitandoci al vasto settore della “bassa moda”. Indubbiamente svetta, però, rispetto a quello che ho fotografato a Parigi lo scorso inverno nei pressi del Beauburg alle nove del mattino, ancora in abbigliamento notturno.