Bagan

Bagan - Birmania

  • Lo sai che c’è un posto a questo mondo dove ci sono più pagode che cristiani?
  • Che umani, intendi dire?
  • No, no, proprio cristiani, seguaci della religione cristiana
  • Ah, be’, però ci saranno indiani o buddiani
  • Sì, infatti, ci sono dei buddisti, ma la cosa straordinaria è il numero di pagode: moltissime!
  • Moltissime secondo te sarebbe un numero?
  • No, ma è sempre un bel numero, se ci pensi.
  • E dove sarebbero tutte queste pagode?
  • In Birmania, a Bagan o Pagan, come si diceva quando le hanno costruite. Guarda la foto.
  • Bel tramonto! Il tramonto “dona”, come diceva Josephine Baker
  • Ma non diceva “Il nero veste”, quando ballava mezzo nuda?
  • Non fare il pignolo! Quando si parla di tramonti buddaici diventi proprio noioso.

Scarlett_stream

Al tempo dei tempi, cioè quando noi nonni eravamo bambini, lo sport più seguito, qui da noi, non era il calcio, ma il ciclismo e la tifoseria si divideva in parti uguali fra i sostenitori di Bartali e quelli di Coppi. Molto meno visibile ma altrettanto diffusa era la divisione fra il partito della Idrolitina è quello di Idriz.

Si trattava di due prodotti in polvere poco costosi che servivano per arricchire di bollicine la comune acqua del rubinetto, che in molte città nell’immediato dopo guerra era igienicamente affidabile, ma spesso piuttosto cattiva. La diffusione dell’acqua minerale imbottigliata non era ancora avvenuta, soprattutto per ragioni economiche. L’Italia semi distrutta non poteva permettersi troppi sfizi, neppure a tavola.
Soltanto negli anni ’60 la distribuzione di acqua minerale in bottiglie di vetro, trasportate a domicilio da piccoli camion urbani, divenne abbastanza diffusa, ma il vero boom del consumo di acqua imbottigliata si ebbe più tardi, dopo la diffusione delle bottiglie di plastica e dei grandi supermercati alimentari che la vendevano a poco prezzo.
Le famiglie italiane si abituarono presto a consumare acqua frizzante o gasata, come si diceva, durante i pasti in casa e al ristorante. È una di quelle abitudini che, una volta acquisite, si perdono con qualche difficoltà. Non è come smettere di fumare, ma ci manca poco. Il peso e l’ingombro delle grosse confezioni di bottiglie di plastica sono il principale aiuto a chi vuole smettere di bere l’acqua gassata. Noi, stanchi di scarrozzare 10 chili di acqua con bollicine, ci eravamo ormai convertiti alla sana e semplice acqua del rubinetto di casa, del tutto insapore e sicuramente ben controllata dal punto di vista igienico, quando un’amica premurosa ci ha regalato un gasatore domestico per arricchire di bollicine l’acqua di casa. E’ un oggetto semplice che funziona bene e ci ha liberato del tutto dal facchinaggio che ormai non sopportavamo più.
In questi giorni è tornato alla ribalta, quando la celebre attrice Scarlett Johansonn è stata contestata per essere divenuta la testimonial della ditta israeliana Sodastream che produce i gasatori anche in una fabbrica che si trova in un territorio contestato dai palestinesi. La vicenda è piuttosto controversa, perché all’interno della fabbrica lavorano numerose maestranze palestinesi ben contente del salario e del trattamento che ricevono, del tutto paritario con il personale israeliano. Resta il fatto che l’attrice ha dovuto rinunciare al suo ruolo di ambasciatrice globale della Oxfam, una delle maggiori organizzazioni umanitarie al mondo.
La cosa curiosa è che, proprio in questi giorni, a Bologna si è aperta con assurdo clamore una mostra che espone alcuni quadri di scuola fiamminga, fra i quali la ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer, ispiratrice di un romanzo dal quale è stato tratto un film che vede Scarlett come protagonista, con qualche somiglianza con la ragazza del quadro fiammingo.
La coincidenza casuale fra l’ingiustificato scalpore destato dalla campagna pubblicitaria di Sodastream e l’altrettanto ingiustificato clamore destato dall’apertura della mostra, entrambi legati in qualche modo alla Johannson, hanno suggerito questo testo e l’immagine arbitraria che lo accompagna.

La mostarda cremonese

Ieri pomeriggio, dopo avere attraversato diagonalmente Piazza Maggiore vuota, ho imboccato, come faccio spesso via Clavature che è forse la strada principale del vecchio mercato nel quadrilatero romano di Bologna.
Dai tempi della mia infanzia la strada ha subito numerose ingiurie che l’hanno profondamente trasformata, ma per fortuna all’angolo con via Drapperie rimane ancora la magnifica salumeria Melega che espone in vetrina anche una grande coppa di mostarda cremonese.
Quando passo davanti a questa meraviglia di colori non posso fare a meno di notare quanto sia vuota o piena, perché, ovviamente, il contenuto è fluttuante e viene rincalzato con nuova mostarda quando il livello si è abbassato per le vendite. Ieri era bella piena e per questo l’ho fotografata ancora una volta con il telefonino. E’ l’immagine che accompagna questo testo.

mostarda cremonese

La mostarda cremonese, come è noto, è frutta intera candita e speziata che veniva associata, solitamente, al bollito misto: un piatto tradizionale emiliano ormai in declino che un tempo era un sostanzioso secondo domenicale dopo i tortellini in brodo che, appunto, venivano cotti nelle ricco brodo di manzo e cappone, sempre presenti fra gl’ingredienti del bollito misto.
Oggi sono pochissimi i ristoranti che offrono ancora il carrello bollente di vapore con una ricca scelta di carni bollite. Fra queste non potevano mancare il manzo, il cappone, lo zampone, la testina, la lingua di bue, il cotechino o il cappello da prete. Imprescindibile poi, era la salsa verde a base di prezzemolo e olio e altri ingredienti secondari, più o meno segreti ed esclusivi.
  

Il MAST di Bologna

Oggi, subito dopo pranzo siamo andati a visitare il MAST che è “Un centro polifunzionale a disposizione dei collaboratori del gruppo Coesia (gruppo industriale attivo nei segmenti delle macchine automatiche avanzate, delle soluzioni di processo industriale e degli ingranaggi di precisione) e della comunità bolognese e offrirà vari servizi che includono: uno spazio espositivo, un auditorium, un’accademia per l’innovazione e l’imprenditorialità, un nido per l’infanzia, un wellness centre, un ristorante aziendale e una caffetteria.”
MAST
Si era letto sui giornali della sua inaugurazione alla presenza del primo ministro, ma con la colpevole assenza del sindaco di Bologna, qualche mese fa. In realtà, il progetto non è stato ancora completato, ma quello che si può vedere già oggi è un notevole esempio di architettura moderna e di lungimiranza industriale.
40 milioni di euro ben spesi, si potrebbe dire, in un quartiere povero della periferia occidentale di Bologna caratterizzato da una curiosa toponomastica che ricorda le origini romane della nostra civiltà con via Valeria, Pomponia, Camonia, Lemonia, Egnazia, ecc.
L’apparato di sicurezza è imponente quanto l’edificio ed i suoi contenuti espositivi, quasi si trattasse di custodire un mostra di dipinti leonardeschi.
L’accoglienza è affidata a giovani hostess gentili e competenti che valorizzano il contenuto espositivo: pannelli che rappresentano aspetti interessanti della produzione di punta del gruppo industriale Coesia, leader mondiale del packeging, e gruppi tematici di fotografie industriali appartenenti alla collezione del gruppo industriale.
Sia i pannelli e le attrezzature dimostrative delle macchine impacchettatrici, sia la bella collezione di fotografie in bianco e nero e a colori meritano una visita negli spaziosi modernissimi saloni. In particolare, la fotografia industriale è molto ben rappresentata con esempi che provengono da tutto il mondo e mostrano diverse età della produzione industriale, da quella fumosa e tetra dell’inizio del novecento a quella contemporanea luminosa e iperobotizzata.
Il MAST di Bologna, con il suggestivo nome che mi ricorda letture giovanili marinaresche (Two years before the mast di R. H. Dana) vale sicuramente una visita già ora, prima del suo completamento.

Il museo del patrimonio industriale di Bologna

Domenica 2 febbraio siamo andati a visitare per la prima volta il museo del patrimonio industriale di Bologna. Ci sarebbe piaciuto accompagnare alla visita anche nostro nipotino Alessandro ma il destino non volle così, come dice la canzone.
Il museo è stato realizzato dal Comune nella vecchia sede della fornace Galotti dove si trovava un forno Hoffmann a fuoco continuo…
forno hoffmann
che ora ospita in modo molto suggestivo varie macchine e attrezzature industriali e, al suo esterno, una collezione di campioni di manufatti ornamentali in terracotta che produceva la fornace e sono tuttora ben visibili sulle facciate di diversi palazzi bolognesi del centro della città.
terre cotte
In questi giorni, è presente una collezione di giocattoli della ditta Giordani, generalmente in buono stato di conservazione. Forse le più divertenti sono alcune macchinine a pedali di varia foggia ed epoca.
giocattoli Giordani
triciclo
Naturalmente, però, la parte più interessante è costituita dalle poderose attrezzature per filare la seta, quando la forza motrice di questi imponenti macchinari era l’acqua, sapientemente canalizzata in modo da spingere con sufficiente potenza e velocità i numerosi mulini delle fabbriche tessili.
In questi opifici si produceva il filato di seta, ricavato da allevamenti locali di bachi, con il quale si tesseva, prevalentemente, il famoso velo di seta bolognese come si vede bene nel ritratto che Guido Reni fece a sua Madre.
Guido Reni madre
Un bel documentario all’ingresso del secondo piano illustra con chiarezza la grande importanza della rete di canali che doveva caratterizzare la fisionomia di Bologna, prima che l’energia elettrica soppiantasse completamente quella idrica come forza motrice dell’industria bolognese, e non solo.
I numerosi canali che solcavano la città a cielo aperto, ricavavano l’acqua dai fiumi Savena e Reno e si prestavano a diverse altre attività, la più importante delle quali era quella dei trasporti fluviali. Proprio i canali permettevano alle merci bolognesi di raggiungere, attraverso il Po, Venezia, e di lì, il vicino oriente che si affaccia sul Mediterraneo.
Molto interessanti sono anche le macchine che rappresentano gli antenati di quelle impressionanti diavolerie automatiche per la confezione e l’impacchettamento di qualsiasi tipo di merce che hanno fatto di Bologna la capitale mondiale del “packeging”.
Commovente la prima “tortellinatrice”.
Interessanti anche alcuni vecchi esemplarii dell’industria motoristica bolognese (Osca,Minarelli, Ducati…) le preziose penne Omas e molto altro. Qui sotto una Osca 1600
osca 1600
È stata una visita molto gradevole, oltre le attese.