Che FAI al museo?

Ieri pomeriggio siamo tornati dopo alcuni mesi nel nostro vecchio museo civico sotto i portici del Pavaglione. Era in corso la promozione nazionale dei luoghi d’arte da parte del FAI che organizza visite guidate, solitamente in luoghi altrimenti inaccessibili.
Non è certo il caso del museo civico di Bologna, tuttavia il FAI organizzava una visita guidata ai mosaici romani ospitati in una saletta minore al secondo piano. Si tratta per lo più di mosaici geometrici molto ben conservati, o restaurati alla perfezione, ma non certo eccezionali se paragonati ai tanti reperti musivi disseminati per l’Italia.
Noi ieri abbiamo saltato completamente la bellissima collezione egizia, seconda solo, in Italia, a quella di rilevanza mondiale di Torino, per ripercorrere la parte villanoviana, quell’etrusca e la romana.

Non ricordavo la bellissima collezione di vasi greci importati dagli etruschi e le interessanti steli funerarie di pietra delle settimo-quinto secolo  a.e.v. Sicuramente tornerò a dimenticarle, ma intanto le ho riviste con piacere. Con il telefonino, unico strumento servizievole sempre in tasca, ho scattato qualche foto; alcune di loro corredano questo testo.
Durante la visita, gruppi di turisti guidati da volontari del FAI, passavano per le sale piene di bellissimi vasi in teche polverose, senza degnarle di uno sguardo, trascorrendo come nuvole in un cielo ventoso.
All’uscita ho incontrato un vecchio amico della banda di informatici, impiegato per l’occasione dal FAI come portinaio volontario.
In tempi ormai lontani, organizzavamo corsi per diffondere l’uso delle tecnologie informatiche fra gli insegnanti e gli studenti delle scuole bolognesi. Ironicamente, ieri mi raccontava aneddoti sugli scatenati ragazzini di prima media che ne combinano di tutti i colori con i loro modernissimi telefonini ed i social network. Non hanno certo bisogno di sollecitazioni, ma al contrario di una educazione ad un uso responsabile e consapevole di questi piccoli potentissimi strumenti e della rete INTERNET.
Sempre bello il nostro ricco e trascurato museo, se poi riuscissero anche ad ammodernare un po’ le vecchie polverose attrezzature espositive e l’illuminazione…

antefisse

Sit-in?

sit-in

Che faceva oggi pomeriggio questo piccolo stormo di bellegioette seduto per terra in un angolo dell biblioteca Sala borsa di Bologna?
  1. un sit-in
  2. un mit-up
  3. un check in
  4. un breackslow
Non è il solo mistero sotto il sole, da quando stormi di turisti di provenienza dubbia hanno cominciato ad infestare portici, strade e piazze di Bologna, senza un vero perché..

La Sala borsa di Bologna

Da qualche anno frequento nel primissimo pomeriggio la biblioteca Sala borsa che si affaccia sulla piazza del Nettuno dominata dalla grande statua di bronzo del Gian Bologna che i bolognesi chiamano affettuosamente “il Gigante”. L’edificio copre una vecchia strada romana ben visibile attraverso il pavimento di vetro rischiarato da un alto lucernario.
Sala borsa Bologna
L’orario meridiano mi permette di trovare più facilmente un posto dove leggere un quotidiano o un mensile informatico fra i numerosi disponibili ad un affezionato pubblico di giovani studenti e di anziani pensionati.
I lettori di quotidiani di solito scelgono i lunghi tavoli del ballatoio del primo piano per sfogliare più comodamente il giornale, io, invece, preferisco una delle tre poltroncine circondate da piante ornamentali che si trovano all’ingresso di una sala di studio. E’ un lungo locale con una dozzina di tavoli rettangolari da sei posti, lampade da tavolo e prese per il computer, frequentato quasi esclusivamente da studenti di età universitaria.
Sala borsa Bologna
Già da diversi anni era disponibile in tutta la biblioteca la rete INTERNET, riservata ai cittadini che si fossero iscritti al servizio comunale gratuito Iperbole, ma da qualche mese, dopo la tardiva e timida liberalizzazione nazionale dei collegamenti, la situazione è ulteriormente migliorata e ora è disponibile a tutti una potente copertura, per cui molti ragazzi adoperano anche i piccoli portatili personali per studiare e collegarsi gratuitamente in rete. I telefonini, invece, tacciono rigorosamente.
La compagnia silenziosissima di ragazze e ragazzi che studiano educatamente mi fa molto piacere e rende gradevole la sosta di un paio di ore, sufficienti per sfogliare un quotidiano o una rivista, prima di affrontare i 3 km e mezzo di passeggiata che mi riportano a casa sotto i portici di via Santo Stefano e, spesso, attraversando i giardini Margherita.
Sala borsa Bologna
Le immagini a corredo di questo testo sono appunto quelle della sala borsa di Bologna.

GIFGIF

L’espressione viene usata abitualmente per definire una persona che non lascia trasparire le sue emozioni; che conserva sempre la stessa faccia, insomma. Normalmente, invece, tutti noi in un modo o nell’altro, con maggiore o minore intensità espressiva affidiamo la manifestazione delle nostre emozioni anche alle espressioni del viso, accentuandone l’efficacia con la mimica delle mani o dell’intero corpo, a volte. 

Si diceva che Eduardo de Filippo, il celebre attore napoletano, riuscisse ad esprimersi con efficacia senza dire una parola, con lunghi intensi silenzi, perfino voltando le spalle al pubblico teatrale che accorreva ad ammirarlo anche in paesi come la Russia, dove il suo napoletano aveva sicuramente poca speranza di essere capito.
A prescindere da questi virtuosismi, è generalmente accettato che la faccia degli umani, a differenza dei buoi o dei cavalli, esprima le emozioni, quanto meno quelle più intense, ma il “linguaggio del volto” è sempre inequivoco e universale?
Per provare a fornire una risposta a questa domanda, alcuni studenti dell’MIT di Boston stanno cercando di raccogliere una documentazione seria e attendibile, per mezzo di una inchiesta attraverso INTERNET, delle espressioni facciali più convincenti e universali dei principali “stati d’animo umani” o “emozioni”, se preferite.
L’ambizione e la speranza degli studiosi è quella di raccogliere un campionario abbastanza completo e attendibile da costituire un vero e proprio linguaggio grafico delle emozioni. Lo strumento scelto per rappresentare le “parole” di questo linguaggio grafico sono figurine in formato GIF (Graphics Interchange Format) , il notissimo formato compresso diffuso in rete.
Il nome del futuro linguaggio sarà GIFGIF; se avrà successo non è dato sapere, ma l’idea mi sembra interessante e il nome azzeccato.
Al mio caro e sagace lettore non è certo sfuggita la contiguità con le faccine o emoticon che, in modo sempre più frequente, vengono utilizzate negli SMS, nei messaggini Whatsapp o Viber o Telegram per aggiungere componenti extra-verbali alla comunicazione testuale.
Il GIFGIF sarebbe, insomma, una evoluzione delle emoticon o delle più sofisticate emoji giapponesi?
Vedremo, nel frattempo i miei migliori auguri ai ragazzi dell’MIT e al loro GIFGIF.

Madonna in burka

Madonna in burka

Madonna

La foto è stata scattata ieri con il telefonino in via Tovaglie a Bologna. Di immagini sacre collocate sotto i portici in angoli morti o in colli di bottiglia dove il portico continua restringendosi ce ne sono parecchie, in centro, Quasi mai brillano per la qualità pittorica o per lo stato di conservazione perfetto. Diciamo pure che il loro valore è riposto nella natura devozionale o semplicemente affettiva che conservano agli occhi degli abitanti di quell’angolo di città.
I restauri accurati sono rari per non dire inesistenti. Di solito le immagini sono quasi illeggibili per la polvere ed il nerofumo, ma proprio per questo mi ha sorpreso notare questa madonnina accuratamente restaurata nel 1975 dalla sezione bolognese di “Italia nostra”. Il restauro è stato eseguito in onore del grande critico d’arte bolognese Francesco Arcangeli, come viene ricordato dalla piccola lapide posta in basso. Sin qui tutto bene: una lodevole eccezione alla regola da parte di un gruppo di sensibili concittadini in contrasto con la “normale” trascuratezza che la città riserva ad immagini analoghe.
La cosa strordinaria è che dopo il restauro, che l’avrebbe restituita all’attenzione del passante, sia stata murata viva dietro una fittissima grata che la nasconde quasi completamente, come fanno i mariti afgani gelosi quando impongono alle belle (?) mogli un deprimente burka che ne oscura perfino il volto accuratamente truccato.
Un bel vetro blindato non andava bene?

Apelle

Campaspe

    • Apollo figlio d’Apelle fece una palla di pollo… com’è la storiella?
    • … Apelle figlio d’Apollo. L’umano figlio del dio, ti sembra?
    • Giusto, giusto; divinità figlie di uomini non stuzzicano l’immaginazione come il contrario. A parte il superbabbo solare cosa sappiamo del curriculum di Apelle?
    • Storie e leggende ce ne sono diverse; Plinio il vecchio è la fonte principale.
      Che era un pittore greco famosissimo alla corte di Alessandro magno te lo ricordi?
    • Sì certo, ma come è la battutaccia con il calzolaio?
    • E’ riferita da Plinio, appunto. Pare che ad Apelle piacesse ascoltare i commenti dei passanti, nascondendosi dietro il suo ultimo quadro, esposto all’ingresso della sua bottega…
    • … e il calzolaio criticò i calzari…
    • … e Apelle accolse la giusta critica e di notte aggiustò l’errore, ma quando il calzolaio, inorgoglito dall’essere stato ascoltato, si mise a criticare anche i piedi e il resto…
    • … ecco, ecco, m’è tornato in mente. Gli disse: “Ciccio, non t’allargare!”
    • Infatti, la traduzione di Plinio dal greco in romanesco è: “Sutor, ne ultra crepidam!”
    • Chissà poi perché gli hanno appiccicato addosso la storia che avrebbe fatto una palla di pelle di pollo? Non era nemmeno uno scultore o un cuoco. Come è lo scioglilingua, te lo ricordi tutto?
    • “Apelle figlio d’Apollo
      fece una palla di pelle di pollo.
      Tutti i pesci vennero a galla
      a mangiare la palla di pelle di pollo
      fatta da Apelle
      figlio di Apollo.”
    • Bravo, la prossima volta invece di tirare del pane secco ai pesci del macero, voglio provare con una palla d’Apelle e vedere se vengono proprio a galla come fanno con il pane.
    • Chi l’pol dir?
Nell’immagine, Campaspe che si spoglia davanti ad Apelle – Cour Carrée del Louvre 

    Set felliniano

    dragaDomenica scorsa siamo andati al mare per incontrare il muratore che ha completato il rifacimento del tetto di casa nostra. La giornata era magnifica, il ristorante era strapieno e il mare scintillava al sole. Fin qui, una normale cartolina della prima bella giornata di fine inverno, quando tutti abbiamo voglia di scrollarci di dosso la muffa delle interminabili piogge.
    A completare il quadro non mancava neppure l’instancabile idrovora alla foce del Logonovo che si incarica di mantenere la navigabilità del canale, e ancora più importante, cerca di compensare l’erosione marina della costa meridionale spostando da nord a sud enormi quantità di sabbia. tuboneIl trasporto avviene attraverso una lunghissima tubazione che, prima dell’arrivo dei turisti estivi, viene rimossa per lasciare il posto agli ombrelloni, ripristinando l’illusoria impressione che tutto rimanga immutato anno dopo anno.
    La sola cosa veramente insolita della giornata, però, è stata la presenza di un pullman dal quale è uscita un quarantina di persone abbigliate in modo molto insolito e originale. Dapprima abbiamo pensato ad un matrimonio di giovani bizzarri, ribelli ai cliché, ma i conti non tornavano; così ci siamo informati da un signore seduto sotto un’ombra precaria che con un lungo teleobiettivo fotografava alcuni membri particolarmente variopinti della compagnia. Non era un matrimonio bizzarro, ma l’uscita di un gruppo di foto-amatori che avevano affittato, per così dire, un certo numero di figuranti in costume per ricostruire alla buona dei set fotografici e potersi divertire a fotografarli con l’agio e la libertà di un vero regista.
    La “gita scolastica” dei membri del club fotografico mi è sembrata un’ idea molto simpatica e sicuramente più divertente delle interminabili, noiosissime proiezioni delle diapositive di viaggio di un membro del gruppo. Di un club così, potrei quasi quasi diventare membro perfino io, in un momento di debolezza.
    Del set “felliniano”, composto da clown molto colorati, ho portato a casa con il telefonino l’immagine qui sotto.
    clown

    Uotsap

    uotsap è la pronuncia italiana di due espressioni inglesi molto popolari oggi. La prima è una domanda colloquiale diffusa fra giovani anglofoni e potrebbe tradursi in “cosa c’è di nuovo?”. La seconda è il nome di una applicazione per telefonini di tutte le marche che sta suscitando clamore non solo sulle testate specializzate in alta tecnologia, ma perfino sui quotidiani. Si tratta del più popolare diffuso e amato strumento di messaggistica istantanea, usato attualmente da 400 milioni di utenti attivi, comperato da un paio di giorni per 17 miliardi di dollari da Facebook, il noto social-network.
    La cifra, superiore al valore in borsa della Fiat Chrysler, è sembrata mirabolante, anche se preceduta negli ultimi anni da altri numerosi acquisti con molti zeri da parte dei grandi protagonisti dell’alta tecnologia: Microsoft, Apple, Google ecc.
    La speranza di noi utenti di Whatsapp è che rimanga fedele alla politica di rispetto della privacy che il fondatore, un ingegnere ucraino, ha sempre dichiarato di volere anteporre a qualunque altro scopo secondario perseguito dalla sua creatura, nata per rendere facile e libera la comunicazione fra i popoli di tutto il mondo.
    Qualche dubbio può sorgere ora, dopo che il fondatore ha venduto Whatsapp, mentre l’aveva sempre dichiarata INVENDIBILE a qualunque prezzo.
    Non so se sia tristemente vero che tutto ha un prezzo, ma che c’è di nuovo, what’s up?

    Un difficile equilibrio

    Qualche sera fa in concomitanza con il festival di Sanremo, Rai cinque proiettava il film: Il nastro bianco del regista Haneke. Mi sembrava di ricordare in modo vago e incerto di averne visto una parte, ricordavo anche che mi era sembrato molto cupo, ma piuttosto che Sanremo…
    nastro bianco
    Il film si svolge in un villaggio settentrionale della Germania protestante tra il 1913 ed il 1914, poco prima dell’inizio della prima guerra mondiale. E’ La storia cupa di una piccola comunità rurale in cui impera un violento dominio maschile che si può ben considerare come il terreno di cultura del futuro nazismo. I bambini sono sottoposti a una rigida disciplina che sconfina spesso nella violenza gratuita. Non ho resistito fino alla fine e sono passato a Rai tre quando cominciava Gazebo: una boccata d’aria fresca, spiritosa, intelligente.
    Ieri mi veniva da ricollegare la truce disciplina protestante e la violenza che l’accompagnava, leggendo la breve notizia di cronaca che riferiva di una richiesta di soccorso ai carabinieri da parte di un bambino di otto anni che, per telefono, asseriva di essere maltrattato dalla madre.
    I carabinieri accorsi, scoprirono che il bambino aveva preso un ceffone dalla mamma per avere marinato la scuola: tutto qui. Rassicurata la madre, invitarono il bambino a comportarsi meglio e a frequentare assiduamente la scuola.
    La domanda è: ma è proprio impossibile trovare un ragionevole mediazione fra la violenza prenazista ed il lassismo ridicolo attuale?

    Un bucato di foto in via Fondazza

    Oggi sono rientrato a casa passando deliberatamente per via Fondazza dove avevo visto qualche giorno fa la curiosa esposizione di foto appese al muro con le mollette, come fossero fazzoletti messi ad asciugare al sole dopo il bucato.
    via Fondazza Bologna
    Avevo letto da qualche mese sui giornali delle iniziative per migliorare i rapporti di buon vicinato fra gli abitanti di questa storica stradina, precedentemente conosciuta fra i bolognesi per due sole ragioni: il cinema Roma all’inizio della via, verso strada Maggiore, e la casa del pittore Giorgio Morandi al numero 36.
    A parte il nome “Social Street” dato all’iniziativa e l’uso di Face Book per realizzarla, almeno nella fase iniziale, mi è sembrata una cosa simpatica e molto condivisibile, come tutte le attività che tendono a migliorare i rapporti umani, in modo semplice concreto e non invasivo a partire dalla buona abitudine di dirsi buongiorno.
    Non so bene lo scopo preciso della mostra di fotografie lungo lo squallido muro della ex caserma, ma è sicuramente una cosa simpatica che anche altri ragazzi fotografavano interessati e divertiti quando le ho riprese oggi con il telefonino.

    Tanti auguri da parte mia a questa e ad altre iniziative simili.