Il cavallo

Il cavallo

Il cavallo è un mammifero elegante
con un cervellino e quattro belle zampe
A dispetto del suo sguardo intelligente
dicono che non capisca un accidente
ma vederlo al galoppo non è mai deludente

Due in uno

Asus transformer t300

Dopo lunga assenza, scrivo questo breve post per testare le funzioni di Dreamweaver e dello strumento di creazione del mio blog che è ancora in fase sperimentale, dopo che ho dovuto rinunciare al mio computer preferito che improvvisamente ha smesso di funzionare e non si può riparare. Ora sto scrivendo su un piccolo computer velocissimo che ho dovuto comprare e addomesticare al mio uso: l’Asus transformer T300. Lo si può usare come ultrabook o come tablet e ha tutta l’aria di essere il formato dei PC del futuro prossimo, c’è da scommetterci.
Mi sembra un buon attrezzo e spero che non mi pianti in asso troppo presto.

Le déjeuner sur l’herbe

Ieri i bolognesi hanno festeggiato la prima domenica di primavera sparpagliandosi allegramente per i giardini Margherita, a piedi o in bici. Il tempo era bellissimo, non ancora troppo caldo e il pratone dove si giocava a polo quando ero bambino li ha accolti confortevolmente.

 
Le Déjeuner sur l’herbe


Ho scattato la foto con il telefonino alle 14 e 57 di ieri, primo giorno di ora legale del 2015.

FACTOTUM

dissuasoreIn via Clavature, nel quadrilatero romano che ospita il mercato vecchio, si trova una robusta colonnetta di metallo capace di scomparire a comando nella pavimentazione di porfido. Lo scopo del marchingegno chiamato “dissuasore mobile” è quello di impedire, quando sporge dal terreno, il transito degli autoveicoli comuni del popolo di dio, pur consentendolo ai pochi privilegiati che ne abbiano dimostrato la necessità o la pubblica utilità.
Di solito si tratta dei furgoni commerciali destinati al rifornimento dei negozi e dei banchi della zona che, con un’apposita tessera, persuadono il dissuasore a sparire momentaneamente sotto terra per lasciarli passare.
Al loro primo apparire, le colonnette a scomparsa destarono una certa curiosità non solo nei bambini e c’era sempre qualche spettatore che assisteva alla sparizione e ricomparsa del cilindro di acciaio con lucette sfolgoranti. 
Dopo anni di servizio, il dissuasore si è ormai guadagnato l’indifferenza generale e anche la mia, ma oggi per la prima volta ho notato una piccola etichetta in fondo al cartello segnaletico di pericolo. C’è sempre stata? o è una recente aggiunta?
La natura della scritta latino-americana “FUCKTOTUM”, cioè “FOTTITUTTO” fa pensare ad uno scherzo, ma chi può dirlo (kilpoldir?)? Che sia un incitamento multilinguistico nelle due lingue universali del presente e del passato alla distruzione del tutto?
Uno sberleffo irriverente ad una nuova fastidiosa trovata tecnologica, che sfrutta l’omofonia con il comune termine FACTOTUM, o altro ancora?
Se qualche cortese lettore conosce la spiegazione del piccolo enigma me lo scriva PLEASEQUAESO.
Indagate fratres.


Un chilo e due di carta

Oggi La repubblica pesa 1220 grammi, stando alla bilancia di cucina. Inutile dire che ben più di mezzo kg, forse fra i due terzi e i tre quarti del peso totale, è pubblicità esplicita e smaccata prevalentemente di moda, alla quale va aggiunta quella più subdola, ma neanche troppo coperta, che i cosiddetti articoli contengono. Va bene così? non credo proprio.
La repubblica
Mia moglie ed io eravamo presenti alla conferenza che Eugenio Scalfari tenne a Bologna per presentare il giornale che stava per lanciare in concorrenza con il Corriere, la Stampa e, nella nostra città, il Carlino: re della cronaca locale.
Sarebbe stato un giornale agile, indipendente, senza sport e senza cronaca nera: poca carta, molte idee contro-corrente. Un giornale d’opinione, non fazioso, per un pubblico insoddisfatto del panorama stagnate e conformista dei quotidiani nazionali a grande tiratura.
Cosa sia diventato, con il passare degli anni, questo gioiellino pretenzioso è sotto gli occhi di tutti: un obeso veicolo pubblicitario.
Che ne dici caro Eugenio del tuo bel progetto? Era proprio inevitabile questo degrado sconfortante che ha tradito in pieno il tuo progetto e noi affezionati lettori dei primi numeri che avevamo creduto alle tue promesse?

Se non a Bologna… dove?

“Se non a Bologna… dove?
Anche in questo fine-settimana il centro di Bologna si è popolato delle ormai abituali pagodine bianche. Questa volta sono piene di mortadelle e sono disposte a schiera lungo il “crescentone” di piazza Maggiore e sotto lo sguardo incuriosito del Nettuno, stanco di pesce-sempre-pesce.

fiera della mortadella

E’ in corso, infatti, MORTADELLABO’, una specie di sagra dell’insaccato rosa, celebre nel mondo e per questo anche malamente imitato e contraffatto. Al simpatico motto: “chi la fa l’affetti” i produttori della vera mortadella di Bologna, protetta dal marchio europeo IGP (indicazione geografica protetta) offrono all’assaggio e all’acquisto il loro prodotto pregiato in un’atmosfera festosa e paesana. Non mancano vino e piadine, naturalmente, abituali compagni di baldoria delle profumate fette lardellate.
Se non si fosse capito bene, a me piace la mortadella e, pensandoci bene, non conosco nessuno a cui non piaccia, a memoria d’uomo.

Chiuso per preghiera

Oggi, venerdì, giorno feriale di mercato in piazzola per i bolognesi, festivo per i pachistani e assolutamente indifferente per i cinesi, abbiamo trovato parcheggio alla Bolognina verso l’una di fronte ad un fruttivendolo stranamente chiuso.
Il vecchio quartiere della Bolognina, costruito a Nord dei binari della stazione centrale, era noto come quartiere dei ferrovieri e dei cinesi, presenti già da molto tempo con le loro attività commerciali e manifatturiere. Oggi la situazione è cambiata e la zona si è popolata di altre etnie, un tempo del tutto sconosciute e assenti. Fra queste ci sono i pachistani che, da musulmani ferventi, conducono negozi di frutta o piccole botteghe generiche di alimentari, ma niente carne, meno che mai quella di maiale, centrale, invece, nell’alimentazione tradizionale emiliana.
Queste botteghe sono sempre aperte, stando ai cartelli esposti che dichiarano spesso degli orari impensabili qui da noi: tutti i giorni dalle 8 alle 23, domeniche comprese, ma è meglio non contarci troppo.
Volendo comprare un grappolo d’uva o il latte dimenticato nel fare la spesa generale, mi sono ritrovato, infatti, con un pugno di mosche di fronte ad un cartello “Torno subito” che può valere anche ore. Mi ricorda il “Just roud the corner” che a Dublino può equivalere anche a tre kilometri. Paese che vai…

fruttivendolo

Per la prima volta oggi all’una, sulla vetrina di un fruttivendolo non-stop, inspiegabilmente chiuso, ho visto, invece, un cartello più preciso: “chiuso per preghiera apro alle 15:00” .
Basta saperlo.

Telefonum sum

Dopo molti anni di onorato servizio ed un lungo declino senile, abbiamo deciso di sostituire il telefono principale senza fili che ospita la segreteria telefonica. Ultimamente si spegneva a suo piacere. Benché la sostituzione comportasse la perdita della rubrica interna, costruita di malavoglia con una procedura astrusa e disagevole nel corso di anni, la decisione è stata presa senza dubbiosi tentennamenti.
A detta del rivenditore, il nuovo aggeggio è dotato di un software più umano del precedente, ma se si vuole personalizzarlo, richiede pur sempre un po’ di pazienza. La segreteria telefonica standard, ad esempio, sembra la prima cosa da modificare. Ha l’aria di essere pensata più per un negozio che per un privato cittadino, giustamente orgoglioso della sua libertà di movimento.
“Siamo momentaneamente assenti… richiameremo appena possibile…”, ma quando mai! Da casa mia vado e vengo quando mi pare e sto fuori casa quanto mi piace. Ci mancherebbe che dovessi giustificarmi con uno sconosciuto che ha letto il mio numero sull’elenco telefonico, non mi ha mai neppure incontrato per la strada e non si vergogna di disturbarmi per sapere se ci sono appartamenti in vendita nel mio palazzo.
Oltretutto, ho sempre un telefonino in tasca che serve egregiamente ai pochi parenti e amici che ne conoscono il numero e mi sono sempre graditi.
Insomma la prima mossa da fare era registrare un nuovo testo per la segreteria telefonica. Uno provvisorio, magari, in attesa di ispirazione. Uno dei più spettacolari dei tempi andati fu quello registrato dopo la elezione di papa Wojtyla. Da un 33 giri avevo preso le campane di San Pietro per aprire e chiudere sfumando il messaggio. Il parlato che stava in mezzo allo scampanio festoso lo avevo ottenuto imitando il polacco del papa. Per ottenere l’effetto eco di piazza San Pietro avevo parlato dentro la pentola a pressione più grande, ma era il testo che suscitava le risate maggiori. Più o meno, diceva: “Fraaaateeeelo, soreeela, lascia un mesaggggio, Lui ti ascolta!”.
Il solo che registrò non una semplice risata sonora, ma una risposta all’altezza, fu Carletto: un moroso di quei tempi di mia figlia. Cominciava così: “Sono San Carlo…”
Quando mia figlia andò a studiare in America e, all’epoca, le telefonate intercontinentali costavano un occhio, dovetti sostituirlo con un nudo testo super-breve da nove secondi, scialbissimo.
homer
In epoche più recenti avevo adottato un testo breve che scoraggiava blandamente l’incauto telefonista dal lasciare messaggi: “Risponde la segreteria telefonica di Candeli. SE LO DESIDERA, può lasciare un messaggio BREVE, dopo il bip”
Spacchettato il telefono nuovo, fu proprio questo il messaggio che, in piedi, in cucina tentai di registrare. Niente da fare. La segreteria non funzionava. Rimandai il tentativo di venire a capo del mal funzionamento e lasciai, momentaneamente, campo libero alla vocetta melensa pre-registrata: “Siamo momenteneamente assenti, la preghiamo…”
Quando ricominciai per la seconda volta la procedura di registrazione di un messaggio personale tutto funzionò bene, ma il primo testo di prova che uscì dalla mia voce fu: “Sono (lunga pausa) fritto” seguito dalla risata di mia moglie che stava distrattamente seguendo le operazioni. Con il nuovo testo la segreteria funzionava perfettamente, perché cambiarlo, allora? Lo abbiamo tenuto per un paio di mesi, con il brillante risultato che nessuno ha lasciato messaggi articolati e comprensibili; solo borbottii sorpresi, finché una mattina al risveglio ho pensato di sostituirlo con uno nuovo che tuttora risponde in nostra assenza.
E’ questo: “Vale. Telefonum sum, quis sis, quod vis?” che in romanesco più recente suonerebbe: “Sarve, so’ er telefono. Chissei? Chevvoi?”.
Vedremo se ci sarà qualcuno che registrerà un messaggio a tono, come il San Carlo di tanti anni fa.