Nudo, si tuffa nell’Adriatico in pieno inverno

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sab. 15 novembre 2003

Da bambini imparavmo a memoria la tiritera “Trebbia Taro-Secchia&Panaro” per non dimenticare gli affluenti di destra del Po.
E il Reno? Si tuffa solitario nell’Adriatico con una propria autonoma foce. Una sottile ragnatela di strade minori e minime costeggia i suoi alti argini o s’intreccia con il suo corso, sprofondato nello stretto alveo verticale.
Senza essere famoso quanto il confratello germanico, citato da Cesare e da Tacito, ha un suo posto fra gli affetti e, talora, le paure della popolazione agricola che vive sulle sue sponde.

In questa stagione, dispone di una quantità d’acqua dignitosa, ancorché pacificamente melmosa; se fosse il Tevere, ci toccherebbe definirlo biondo, con ineluttabile retorica, ma per fortuna è solo un umile fiume di campagna, anche se lambisce Bologna.
La piacevolezza di seguirne passivamente e lentamente il corso in questa stagione, agganciati dalla tortuosità ipnotica delle stradine deserte in testa d’argine, sta nella dolcezza dei colori caldi dell’insieme, a partire dalle foglie dei pioppi cipressini, degli olmi, dei platani e delle rare querce, per continuare con la scura terra arata, i curatissimi frutteti ed i rossi vigneti. Non ci sono stonature cromatiche, insomma, ma una tavolozza pacata, stemperata dalla nebbia , che rasserena lo spirito.

Nella foto il Reno autunnale nella “bassa” ferrarese

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