Era l’ora dei racconti e delle favole

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ven. 08 agosto 2003

Forse perché lei stessa preferiva restare in un angolo fresco del giardino a giocare a canasta o a canastone, non mi costrinse mai a salire in camera per il riposino dopo pranzo. Per fortuna altri bambini godevano dello stesso mio privilegio, così ci si trovava ad avere un non-tempo regalato da impiegare come si voleva, a patto di non disturbare gli adulti dormienti dietro le imposte socchiuse o i più attivi giocatori di carte .
Lo spazio disponibile era veramente molto nel largo cortile ombroso popolato di platani, olmi e ippocastani che si apriva fra i tavolini esterni del bar, fino al basso edificio di servizio che delimitava, dal lato opposto all’albergo, la larga pista da ballo in cemento, vuota durante il giorno, quando gli strumenti sonnecchiavano nelle custodie, i suonatori facevano il loro vero mestiere e i ballerini serali, nella loro tenuta diurna da villeggianti, erano sparpagliati ovunque ci fosse un’ombra.
Dopo la mattinata in ispiaggia, le lunghe nuotate nell’acqua verde ed il pasto abbondante nella vasta sala fresca, veniva spontaneo parlare a bassa voce e stare tranquilli ad aspettare che il sole cominciasse a gettare ombre più lunghe.
Era l’ora dei racconti e delle favole, non che se ne percepisse nettamente la distinzione. Chi aveva qualcosa da raccontare lo faceva come meglio sapeva e con incerto successo, ma senza rischiare mai di destare alcuna ostilità o fastidio. C’era, però, una bambina di Reggio Emilia, con la sua parlata lenta e cantilenante, che, invece, incantava tutti. Se ne aveva voglia e cominciava a raccontare, tutti noi le stavamo intorno a cerchio ad ascoltarla.
Curiosamente non ricordo nulla di quei racconti infantili se non la capacità magnetica della piccola Sherazade emiliana di destare la nostra attenzioe e indurci ad un ascolto passivo, dolce e gradito come il sonno quando si è stanchi.
La sera quando al suono dell’orchestrina si ballavano walzer, polche e mazurche nella più allegra promisquità di adulti e bambini e la raspa del Paranà scatenava noi piccoli in piroette improvvisate, la magia svaniva e anche lei tornava ad essere una bambina qualunque: una bella moretta con le trecce e un bel paio di zampette robuste adatte per saltare e ballare.

bassa marea

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