“Due no, ma uno solo si può”

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lun. 03 novembre 2003

“Due no, ma uno solo si può”, questa la frasetta completa che costituiva la formula sintetica ed esauriente del “fantasma fondamentale” psicoanalitico di un suo caro amico, al termine di una lunga analisi conclusasi con successo. Niente di più di così, ma il percorso per vederla affiorare dentro di sé era stato lungo e molto faticoso, a suo dire. Lei aveva cominciato il suo percorso alla caccia del suo fantasma alla fine del liceo. Dopo un paio d’anni di assidua frequentazione di un primo approssimativo analista, un rassicurante superficiale arraffone, con il quale aveva rotto il ghiaccio e sperimentato il primo, sconvolgente transfert, era partita alla ricerca di chi potesse aiutarla veramente, con autentica competenza e l’aveva trovata in una una lacaniana di spicco, tanto esperta quanto priva di fronzoli e indulgenza. Tuttavia, benché indirizzata sapientemente dai piccoli, abili colpi di timone della sua guida, erano occorsi un’altra decina d’anni di proficuo e intenso lavoro per arrivare alla scoperta conclusiva. Nel frattempo era cresciuta, aveva cambiato città, paese e lingua, aveva formato un sua famiglia e trovato un buon lavoro, coerente con i suoi studi, in attesa di raggiungere il suo scopo: conquistare finalmente la liberta di osservare con distacco professionale la realtà, per intraprendere a sua volta la sottile arte di chi ascolta le anime in pena e cerca di scoprire nel groviglio dei loro racconti la trama nascosta che li sottende, invisibile a tutti gli altri, ma non a lei. Il percorso era stato molto lungo e molto faticoso, come in tutte le favole, ma alla fine aveva trovato l’epitome gloriosa del suo fantasma: “Maionese, a parte”.

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