Dalle finestre aperte, entrava in camera il ruggito del leone

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Durante il lento risveglio da queste ovattate notti brumose, impigrito dal tepore del piumone, ripensavo all’improvviso tuffo al cuore che mi sbalzava dal sonno alla veglia, quando nelle notti estive, a finestre aperte, entrava in camera il ruggito del leone. Poche centinaia di metri di campi, orti e giardini separavano casa sua dalla mia. Ai tempi del ginnasio gli spazi occupati dalle rare abitazioni qui intorno erano meno numerosi di quelli ancora vuoti che, gradualmente, furono poi riempiti nel successivo decennio.

Le strade, ancora ghiaiose e polverose erano già tracciate, ma prive di un nome. I pochi spazi già edificati, ricavati dalla lottizzazione dei margini settentrionali del parco dei principi H. portavano ancora la numerazione della stretta strada che saliva dalla città a Monte Donato. Casa mia, allora, era identificata come Siepelunga 30/15. Sul vialetto di tigli, tuttora rigogliosi, che la lambisce ad oriente veniva a cantare di notte un usignuolo ed il profumo del fieno sfalciato nel residuo, vasto parco principesco alle spalle di casa, competeva vittorioso con quello del caprifoglio arrampicato alla siepe di fronte.
La sera, mi piaceva fumare la pipa sul balcone, in ascolto dei profumi e dei suoni di una campagna in via di estinzione, guardando le volute di fumo salire al chiarore della città sottostante, in agguato.

Ora Reno II è morto e non è stato sostituito da nessuno dei suoi cuccioli e la stessa gabbia in cui viveva, all’interno dei giardini regina Margherita, suscitando lo stupore e la paura di noi bambini bolognesi, è stata demolita e quasi se n’è persa la memoria. Solo l’odore acre e persistente gli sopravvisse ancora per lungo tempo: uno spiacevole, incancellabile alone della sua maestosa, patetica, persona; un’onta risparmiata ai leoni di pietra del duomo di Modena: eternamente malinconici.

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