Boccioli di gelsomino e rose alabastrine

5
(1)

ven. 01 agosto 2003

La commovente resistenza delle decine di boccioli di gelsomino che spuntano da una ciotola di ceramica ischitana fra la verzura impalpabile di contorno e a coronamento di alcune rose bianche quasi alabastrine, residuo un recentissimo matrimonio estivo, mi ha riportato ad un’estate lontanissima ormai, quando vissi per un mese in una villa sulla Nomentana aviluppata dai gelsomini.

Non c’erano gelsomini profumati nelle case della mia infanzia nella grande pianura nebbiosa: il clima rigido degli inverni nevosi li avrebbe uccisi, così rimasi particolarmente sorpreso dal profumo festoso che avvolgeva la casa intera, affacciata sul larghissimo viale di platani che da Porta Pia si spinge verso la campagna romana.

Non ricordo quasi nulla delle stanze al pianterreno affacciate sul giardino, se non forse gli accessori pomposi del grande bagno di maiolica finemente screpolata per l’età vetusta. In un angolo del giardino, che circondava il retro della villa, c’era una vasca ovale soffocata dall’edera in cui nuotavano pesci rossi e, forse, ranocchi. L’estate precoce imponeva le finestre aperte anche di notte e lasciava passare il canto dei grilli ed il profumo quasi assordante dei gelsomini bianchi.

Non ricordo quasi nient’altro di quella parentesi romana, se non un bambino un po’ petulante che parlava preferibilmente persiano, con il qual giocavo passando dal buco nella siepe che si apriva sul vasto giardino dell’ambasciata afgana. Era il figlio dell’ambasciatore di quel paese remoto: un regno ignoto ai confini del mondo che non aveva alcuna triste notorietà, a quel tempo.

Valuta questo testo

Risultato

Non ci sono ancora valutazioni