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Nell'immagine, Campaspe che si spoglia davanti ad Apelle - Cour Carrée del Louvre
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mar 25 febbraio 2014 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
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Domenica scorsa siamo andati al mare per incontrare il muratore che ha completato il rifacimento del tetto di casa nostra. La giornata era magnifica, il ristorante era strapieno e il mare scintillava al sole. Fin qui, una normale cartolina della prima bella giornata di fine inverno, quando tutti abbiamo voglia di scrollarci di dosso la muffa delle interminabili piogge.
A completare il quadro non mancava neppure l'instancabile idrovora alla foce del Logonovo che si incarica di mantenere la navigabilità del canale, e ancora più importante, cerca di compensare l'erosione marina della costa meridionale spostando da nord a sud enormi quantità di sabbia. Il trasporto avviene attraverso una lunghissima tubazione che, prima dell'arrivo dei turisti estivi, viene rimossa per lasciare il posto agli ombrelloni, ripristinando l'illusoria impressione che tutto rimanga immutato anno dopo anno.
La sola cosa veramente insolita della giornata, però, è stata la presenza di un pullman dal quale è uscita un quarantina di persone abbigliate in modo molto insolito e originale. Dapprima abbiamo pensato ad un matrimonio di giovani bizzarri, ribelli ai cliché, ma i conti non tornavano; così ci siamo informati da un signore seduto sotto un'ombra precaria che con un lungo teleobiettivo fotografava alcuni membri particolarmente variopinti della compagnia. Non era un matrimonio bizzarro, ma l'uscita di un gruppo di foto-amatori che avevano affittato, per così dire, un certo numero di figuranti in costume per ricostruire alla buona dei set fotografici e potersi divertire a fotografarli con l'agio e la libertà di un vero regista. La "gita scolastica" dei membri del club fotografico mi è sembrata un' idea molto simpatica e sicuramente più divertente delle interminabili, noiosissime proiezioni delle diapositive di viaggio di un membro del gruppo. Di un club così, potrei quasi quasi diventare membro perfino io, in un momento di debolezza.
Del set "felliniano", composto da clown molto colorati, ho portato a casa con il telefonino l'immagine qui sotto.
relitto marino
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) dom 23 febbraio 2014 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
uotsap è la pronuncia italiana di due espressioni inglesi molto popolari oggi. La prima è una domanda colloquiale diffusa fra giovani anglofoni e potrebbe tradursi in "cosa c'è di nuovo?". La seconda è il nome di una applicazione per telefonini di tutte le marche che sta suscitando clamore non solo sulle testate specializzate in alta tecnologia, ma perfino sui quotidiani. Si tratta del più popolare diffuso e amato strumento di messaggistica istantanea, usato attualmente da 400 milioni di utenti attivi, comperato da un paio di giorni per 17 miliardi di dollari da Facebook, il noto social-network. La cifra, superiore al valore in borsa della Fiat Chrysler, è sembrata mirabolante, anche se preceduta negli ultimi anni da altri numerosi acquisti con molti zeri da parte dei grandi protagonisti dell'alta tecnologia: Microsoft, Apple, Google ecc. La speranza di noi utenti di Whatsapp è che rimanga fedele alla politica di rispetto della privacy che il fondatore, un ingegnere ucraino, ha sempre dichiarato di volere anteporre a qualunque altro scopo secondario perseguito dalla sua creatura, nata per rendere facile e libera la comunicazione fra i popoli di tutto il mondo.
Qualche dubbio può sorgere ora, dopo che il fondatore ha venduto Whatsapp, mentre l'aveva sempre dichiarata INVENDIBILE a qualunque prezzo.
Non so se sia tristemente vero che tutto ha un prezzo, ma che c'è di nuovo, what's up?
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) ven 21 febbraio 2014 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Qualche sera fa in concomitanza con il festival di Sanremo, Rai cinque proiettava il film: Il nastro bianco del regista Haneke. Mi sembrava di ricordare in modo vago e incerto di averne visto una parte, ricordavo anche che mi era sembrato molto cupo, ma piuttosto che Sanremo...
Il film si svolge in un villaggio settentrionale della Germania protestante tra il 1913 ed il 1914, poco prima dell'inizio della prima guerra mondiale. E' La storia cupa di una piccola comunità rurale in cui impera un violento dominio maschile che si può ben considerare come il terreno di cultura del futuro nazismo. I bambini sono sottoposti a una rigida disciplina che sconfina spesso nella violenza gratuita. Non ho resistito fino alla fine e sono passato a Rai tre quando cominciava Gazebo: una boccata d'aria fresca, spiritosa, intelligente.
Ieri mi veniva da ricollegare la truce disciplina protestante e la violenza che l'accompagnava, leggendo la breve notizia di cronaca che riferiva di una richiesta di soccorso ai carabinieri da parte di un bambino di otto anni che, per telefono, asseriva di essere maltrattato dalla madre.
I carabinieri accorsi, scoprirono che il bambino aveva preso un ceffone dalla mamma per avere marinato la scuola: tutto qui. Rassicurata la madre, invitarono il bambino a comportarsi meglio e a frequentare assiduamente la scuola.
La domanda è: ma è proprio impossibile trovare un ragionevole mediazione fra la violenza prenazista ed il lassismo ridicolo attuale?
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) gio 20 febbraio 2014 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Oggi sono rientrato a casa passando deliberatamente per via Fondazza dove avevo visto qualche giorno fa la curiosa esposizione di foto appese al muro con le mollette, come fossero fazzoletti messi ad asciugare al sole dopo il bucato.
Avevo letto da qualche mese sui giornali delle iniziative per migliorare i rapporti di buon vicinato fra gli abitanti di questa storica stradina, precedentemente conosciuta fra i bolognesi per due sole ragioni: il cinema Roma all'inizio della via, verso strada Maggiore, e la casa del pittore Giorgio Morandi al numero 36. A parte il nome "Social Street" dato all'iniziativa e l'uso di Face Book per realizzarla, almeno nella fase iniziale, mi è sembrata una cosa simpatica e molto condivisibile, come tutte le attività che tendono a migliorare i rapporti umani, in modo semplice concreto e non invasivo a partire dalla buona abitudine di dirsi buongiorno.
Non so bene lo scopo preciso della mostra di fotografie lungo lo squallido muro della ex caserma, ma è sicuramente una cosa simpatica che anche altri ragazzi fotografavano interessati e divertiti quando le ho riprese oggi con il telefonino.
Tanti auguri da parte mia a questa e ad altre iniziative simili.
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) dom 16 febbraio 2014 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) sab 15 febbraio 2014 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mer 12 febbraio 2014 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Al tempo dei tempi, cioè quando noi nonni eravamo bambini, lo sport più seguito, qui da noi, non era il calcio, ma il ciclismo e la tifoseria si divideva in parti uguali fra i sostenitori di Bartali e quelli di Coppi. Molto meno visibile ma altrettanto diffusa era la divisione fra il partito della Idrolitina è quello di Idriz.
Si trattava di due prodotti in polvere poco costosi che servivano per arricchire di bollicine la comune acqua del rubinetto, che in molte città nell'immediato dopo guerra era igienicamente affidabile, ma spesso piuttosto cattiva. La diffusione dell'acqua minerale imbottigliata non era ancora avvenuta, soprattutto per ragioni economiche. L'Italia semi distrutta non poteva permettersi troppi sfizi, neppure a tavola. Soltanto negli anni '60 la distribuzione di acqua minerale in bottiglie di vetro, trasportate a domicilio da piccoli camion urbani, divenne abbastanza diffusa, ma il vero boom del consumo di acqua imbottigliata si ebbe più tardi, dopo la diffusione delle bottiglie di plastica e dei grandi supermercati alimentari che la vendevano a poco prezzo. Le famiglie italiane si abituarono presto a consumare acqua frizzante o gasata, come si diceva, durante i pasti in casa e al ristorante. È una di quelle abitudini che, una volta acquisite, si perdono con qualche difficoltà. Non è come smettere di fumare, ma ci manca poco. Il peso e l'ingombro delle grosse confezioni di bottiglie di plastica sono il principale aiuto a chi vuole smettere di bere l'acqua gassata. Noi, stanchi di scarrozzare 10 chili di acqua con bollicine, ci eravamo ormai convertiti alla sana e semplice acqua del rubinetto di casa, del tutto insapore e sicuramente ben controllata dal punto di vista igienico, quando un'amica premurosa ci ha regalato un gasatore domestico per arricchire di bollicine l'acqua di casa. E' un oggetto semplice che funziona bene e ci ha liberato del tutto dal facchinaggio che ormai non sopportavamo più.
In questi giorni è tornato alla ribalta, quando la celebre attrice Scarlett Johansonn è stata contestata per essere divenuta la testimonial della ditta israeliana Sodastream che produce i gasatori anche in una fabbrica che si trova in un territorio contestato dai palestinesi. La vicenda è piuttosto controversa, perché all'interno della fabbrica lavorano numerose maestranze palestinesi ben contente del salario e del trattamento che ricevono, del tutto paritario con il personale israeliano. Resta il fatto che l'attrice ha dovuto rinunciare al suo ruolo di ambasciatrice globale della Oxfam, una delle maggiori organizzazioni umanitarie al mondo.
La cosa curiosa è che, proprio in questi giorni, a Bologna si è aperta con assurdo clamore una mostra che espone alcuni quadri di scuola fiamminga, fra i quali la ragazza con l'orecchino di perla di Vermeer, ispiratrice di un romanzo dal quale è stato tratto un film che vede Scarlett come protagonista, con qualche somiglianza con la ragazza del quadro fiammingo. La coincidenza casuale fra l'ingiustificato scalpore destato dalla campagna pubblicitaria di Sodastream e l'altrettanto ingiustificato clamore destato dall'apertura della mostra, entrambi legati in qualche modo alla Johannson, hanno suggerito questo testo e l'immagine arbitraria che lo accompagna.
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) dom 09 febbraio 2014 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Ieri pomeriggio, dopo avere attraversato diagonalmente Piazza Maggiore vuota, ho imboccato, come faccio spesso via Clavature che è forse la strada principale del vecchio mercato nel quadrilatero romano di Bologna. Dai tempi della mia infanzia la strada ha subito numerose ingiurie che l'hanno profondamente trasformata, ma per fortuna all'angolo con via Drapperie rimane ancora la magnifica salumeria Melega che espone in vetrina anche una grande coppa di mostarda cremonese. Quando passo davanti a questa meraviglia di colori non posso fare a meno di notare quanto sia vuota o piena, perché, ovviamente, il contenuto è fluttuante e viene rincalzato con nuova mostarda quando il livello si è abbassato per le vendite. Ieri era bella piena e per questo l'ho fotografata ancora una volta con il telefonino. E' l'immagine che accompagna questo testo. La mostarda cremonese, come è noto, è frutta intera candita e speziata che veniva associata, solitamente, al bollito misto: un piatto tradizionale emiliano ormai in declino che un tempo era un sostanzioso secondo domenicale, dopo i tortellini in brodo che, appunto, venivano cotti nelle ricco brodo di manzo e cappone, sempre presenti fra gl'ingredienti del bollito misto. Oggi sono pochissimi i ristoranti che offrono ancora il carrello bollente di vapore con una ricca scelta di carni bollite. Fra queste non potevano mancare il manzo, il cappone, lo zampone, la testina, la lingua di bue, il cotechino o il cappello da prete. Imprescindibile poi, era la salsa verde a base di prezzemolo e olio e altri ingredienti secondari, più o meno segreti ed esclusivi.
Ieri pomeriggio, dopo avere attraversato diagonalmente Piazza Maggiore vuota, ho imboccato, come faccio spesso via Clavature che è forse la strada principale del vecchio mercato nel quadrilatero romano di Bologna. Dai tempi della mia infanzia la strada ha subito numerose ingiurie che l'hanno profondamente trasformata, ma per fortuna all'angolo con via Drapperie rimane ancora la magnifica salumeria Melega che espone in vetrina anche una grande coppa di mostarda cremonese. Quando passo davanti a questa meraviglia di colori non posso fare a meno di notare quanto sia vuota o piena, perché, ovviamente, il contenuto è fluttuante e viene rincalzato con nuova mostarda quando il livello si è abbassato per le vendite. Ieri era bella piena e per questo l'ho fotografata ancora una volta con il telefonino. E' l'immagine che accompagna questo testo.
La mostarda cremonese, come è noto, è frutta intera candita e speziata che veniva associata, solitamente, al bollito misto: un piatto tradizionale emiliano ormai in declino che un tempo era un sostanzioso secondo domenicale, dopo i tortellini in brodo che, appunto, venivano cotti nelle ricco brodo di manzo e cappone, sempre presenti fra gl'ingredienti del bollito misto.
Oggi sono pochissimi i ristoranti che offrono ancora il carrello bollente di vapore con una ricca scelta di carni bollite. Fra queste non potevano mancare il manzo, il cappone, lo zampone, la testina, la lingua di bue, il cotechino o il cappello da prete. Imprescindibile poi, era la salsa verde a base di prezzemolo e olio e altri ingredienti secondari, più o meno segreti ed esclusivi.
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) sab 08 febbraio 2014 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Oggi, subito dopo pranzo siamo andati a visitare il MAST che è "Un centro polifunzionale a disposizione dei collaboratori del gruppo Coesia (gruppo industriale attivo nei segmenti delle macchine automatiche avanzate, delle soluzioni di processo industriale e degli ingranaggi di precisione) e della comunità bolognese e offrirà vari servizi che includono: uno spazio espositivo, un auditorium, un'accademia per l'innovazione e l'imprenditorialità, un nido per l'infanzia, un wellness centre, un ristorante aziendale e una caffetteria." Si era letto sui giornali della sua inaugurazione alla presenza del primo ministro, ma con la colpevole assenza del sindaco di Bologna, qualche mese fa. In realtà, il progetto non è stato ancora completato, ma quello che si può vedere già oggi è un notevole esempio di architettura moderna e di lungimiranza industriale. 40 milioni di euro ben spesi, si potrebbe dire, in un quartiere povero della periferia occidentale di Bologna caratterizzato da una curiosa toponomastica che ricorda le origini romane della nostra civiltà con via Valeria, Pomponia, Camonia, Lemonia, Egnazia, ecc. L'apparato di sicurezza è imponente quanto l'edificio ed i suoi contenuti espositivi, quasi si trattasse di custodire un mostra di dipinti leonardeschi. L'accoglienza è affidata a giovani hostess gentili e competenti che valorizzano il contenuto espositivo: pannelli che rappresentano aspetti interessanti della produzione di punta del gruppo industriale Coesia, leader mondiale del packeging, e gruppi tematici di fotografie industriali appartenenti alla collezione del gruppo industriale. Sia i pannelli e le attrezzature dimostrative delle macchine impacchettatrici, sia la bella collezione di fotografie in bianco e nero e a colori meritano una visita negli spaziosi modernissimi saloni. In particolare, la fotografia industriale è molto ben rappresentata con esempi che provengono da tutto il mondo e mostrano diverse età della produzione industriale, da quella fumosa e tetra dell'inizio del novecento a quella contemporanea luminosa e iperobotizzata. Il MAST di Bologna, con il suggestivo nome che mi ricorda letture giovanili marinaresche (Two years before the mast di R. H. Dana) vale sicuramente una visita già ora, prima del suo completamento.
Oggi, subito dopo pranzo siamo andati a visitare il MAST che è "Un centro polifunzionale a disposizione dei collaboratori del gruppo Coesia (gruppo industriale attivo nei segmenti delle macchine automatiche avanzate, delle soluzioni di processo industriale e degli ingranaggi di precisione) e della comunità bolognese e offrirà vari servizi che includono: uno spazio espositivo, un auditorium, un'accademia per l'innovazione e l'imprenditorialità, un nido per l'infanzia, un wellness centre, un ristorante aziendale e una caffetteria."
Si era letto sui giornali della sua inaugurazione alla presenza del primo ministro, ma con la colpevole assenza del sindaco di Bologna, qualche mese fa. In realtà, il progetto non è stato ancora completato, ma quello che si può vedere già oggi è un notevole esempio di architettura moderna e di lungimiranza industriale. 40 milioni di euro ben spesi, si potrebbe dire, in un quartiere povero della periferia occidentale di Bologna caratterizzato da una curiosa toponomastica che ricorda le origini romane della nostra civiltà con via Valeria, Pomponia, Camonia, Lemonia, Egnazia, ecc. L'apparato di sicurezza è imponente quanto l'edificio ed i suoi contenuti espositivi, quasi si trattasse di custodire un mostra di dipinti leonardeschi. L'accoglienza è affidata a giovani hostess gentili e competenti che valorizzano il contenuto espositivo: pannelli che rappresentano aspetti interessanti della produzione di punta del gruppo industriale Coesia, leader mondiale del packeging, e gruppi tematici di fotografie industriali appartenenti alla collezione del gruppo industriale.
Sia i pannelli e le attrezzature dimostrative delle macchine impacchettatrici, sia la bella collezione di fotografie in bianco e nero e a colori meritano una visita negli spaziosi modernissimi saloni. In particolare, la fotografia industriale è molto ben rappresentata con esempi che provengono da tutto il mondo e mostrano diverse età della produzione industriale, da quella fumosa e tetra dell'inizio del novecento a quella contemporanea luminosa e iperobotizzata.
Il MAST di Bologna, con il suggestivo nome che mi ricorda letture giovanili marinaresche (Two years before the mast di R. H. Dana) vale sicuramente una visita già ora, prima del suo completamento.
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mer 05 febbraio 2014 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Domenica 2 febbraio siamo andati a visitare per la prima volta il museo del patrimonio industriale di Bologna. Ci sarebbe piaciuto accompagnare alla visita anche nostro nipotino Alessandro ma il destino non volle così, come dice la canzone. Il museo è stato realizzato dal Comune nella vecchia sede della fornace Galotti dove si trovava un forno Hoffmann a fuoco continuo... che ora ospita in modo molto suggestivo varie macchine e attrezzature industriali e, al suo esterno, una collezione di campioni di manufatti ornamentali in terracotta che produceva la fornace e sono tuttora ben visibili sulle facciate di diversi palazzi bolognesi del centro della città. In questi giorni, è presente una collezione di giocattoli della ditta Giordani, generalmente in buono stato di conservazione. Forse le più divertenti sono alcune macchinine a pedali di varia foggia ed epoca. Naturalmente, però, la parte più interessante è costituita dalle poderose attrezzature per filare la seta, quando la forza motrice di questi imponenti macchinari era l'acqua, sapientemente canalizzata in modo da spingere con sufficiente potenza e velocità i numerosi mulini delle fabbriche tessili. In questi opifici si produceva il filato di seta, ricavato da allevamenti locali di bachi, con il quale si tesseva, prevalentemente, il famoso velo di seta bolognese come si vede bene nel ritratto che Guido Reni fece a sua Madre. Un bel documentario all'ingresso del secondo piano illustra con chiarezza la grande importanza della rete di canali che doveva caratterizzare la fisionomia di Bologna, prima che l'energia elettrica soppiantasse completamente quella idrica come forza motrice dell'industria bolognese, e non solo. I numerosi canali che solcavano la città a cielo aperto, ricavavano l'acqua dai fiumi Savena e Reno e si prestavano a diverse altre attività, la più importante delle quali era quella dei trasporti fluviali. Proprio i canali permettevano alle merci bolognesi di raggiungere, attraverso il Po, Venezia, e di lì, il vicino oriente che si affaccia sul Mediterraneo. Molto interessanti sono anche le macchine che rappresentano gli antenati di quelle impressionanti diavolerie automatiche per la confezione e l'impacchettamento di qualsiasi tipo di merce che hanno fatto di Bologna la capitale mondiale del "packeging". Commovente la prima "tortellinatrice". Interessanti anche alcuni vecchi esemplarii dell'industria motoristica bolognese (Osca,Minarelli, Ducati...) le preziose penne Omas e molto altro. Qui sotto una Osca 1600 È stata una visita molto gradevole, oltre le attese.
Domenica 2 febbraio siamo andati a visitare per la prima volta il museo del patrimonio industriale di Bologna. Ci sarebbe piaciuto accompagnare alla visita anche nostro nipotino Alessandro ma il destino non volle così, come dice la canzone.
Il museo è stato realizzato dal Comune nella vecchia sede della fornace Galotti dove si trovava un forno Hoffmann a fuoco continuo...
che ora ospita in modo molto suggestivo varie macchine e attrezzature industriali e, al suo esterno, una collezione di campioni di manufatti ornamentali in terracotta che produceva la fornace e sono tuttora ben visibili sulle facciate di diversi palazzi bolognesi del centro della città.
In questi giorni, è presente una collezione di giocattoli della ditta Giordani, generalmente in buono stato di conservazione. Forse le più divertenti sono alcune macchinine a pedali di varia foggia ed epoca.
Naturalmente, però, la parte più interessante è costituita dalle poderose attrezzature per filare la seta, quando la forza motrice di questi imponenti macchinari era l'acqua, sapientemente canalizzata in modo da spingere con sufficiente potenza e velocità i numerosi mulini delle fabbriche tessili.
In questi opifici si produceva il filato di seta, ricavato da allevamenti locali di bachi, con il quale si tesseva, prevalentemente, il famoso velo di seta bolognese come si vede bene nel ritratto che Guido Reni fece a sua Madre.
Un bel documentario all'ingresso del secondo piano illustra con chiarezza la grande importanza della rete di canali che doveva caratterizzare la fisionomia di Bologna, prima che l'energia elettrica soppiantasse completamente quella idrica come forza motrice dell'industria bolognese, e non solo.
I numerosi canali che solcavano la città a cielo aperto, ricavavano l'acqua dai fiumi Savena e Reno e si prestavano a diverse altre attività, la più importante delle quali era quella dei trasporti fluviali. Proprio i canali permettevano alle merci bolognesi di raggiungere, attraverso il Po, Venezia, e di lì, il vicino oriente che si affaccia sul Mediterraneo.
Molto interessanti sono anche le macchine che rappresentano gli antenati di quelle impressionanti diavolerie automatiche per la confezione e l'impacchettamento di qualsiasi tipo di merce che hanno fatto di Bologna la capitale mondiale del "packeging". Commovente la prima "tortellinatrice". Interessanti anche alcuni vecchi esemplarii dell'industria motoristica bolognese (Osca,Minarelli, Ducati...) le preziose penne Omas e molto altro. Qui sotto una Osca 1600
È stata una visita molto gradevole, oltre le attese.
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mar 04 febbraio 2014 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
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Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) sab 01 febbraio 2014 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)