Nel romanzo Tomasi adotta sia la tecnica del narratore onnisciente, sia quella
a focalizzazione interna: riguardo
a quest'ultima, si può notare che assume frequentemente il punto di
vista del principe e spesso in questi casi ne condivide anche la
visione del mondo. Lo si può constatare in
alcuni punti chiave del romanzo: quando Tancredi dà, all 'inizio,
la sua valutazione politica dei "nuovi tempi", dando così anche
l'elementare spiegazione della sua adesione ad essi, esprime una posizione
che il protagonista come l'autore giudica valida e vincente per un periodo
non brevissimo.
Quando Tumeo prevede la caduta della famiglia Salina, pur facendo una indovinata
pessimistica previsione, rimane, secondo la voce narrante, un "pietoso
burattino", perchè ignora l'inevitabile. Anche qui, le valutazioni
del principe sono concordanti con quelle del narratore: l'arroccamento sui
dogmi dell'antico regime è un atteggiamento inconcepibile.
In altri casi invece il narratore, che dimostra di saperne di più
dei suoi personaggi, esprime la sua visione delle cose direttamente e
l'identificazione narratore - principe di Salina non funziona più.
Durante il colloquio tra il principe e Don Ciccio Tumeo, in un passaggio
il narratore si distingue nettamente dal personaggio, ponendosi interprete
del pensiero dell'autore: "Don Fabrizio non poteva saperlo allora, ma una
parte della neghittosità, dell'acquiscenza per la quale durante i
decenni seguenti si doveva vituperare la gente del Mezzogiorno, ebbe la propria
origine nello stupido annullamento della prima espressione di libertà
che a questo popolo si era mai presentata" (pag.139).
Nell'ultima parte, dopo la morte del principe, il pensiero di Tomasi è
di volta in volta prestato a questo o a quel personaggio o allo stesso narratore.
Un tratto fondamentale che distingue l'ideologia del narratore da quella del principe è proprio il non-determinismo. Accanto all'episodio già citato del colloquio tra il principe e Ciccio Tumeo, possiamo considerare anche la storia di Concetta, e ci accorgiamo che su di essa incidono atteggiamenti e situazioni che se fossero stati diversi avrebbero consentito una diversa soluzione dei fatti: la realtà quindi appare, sia pure sotto l'angolatura di una piccola storia, come il risultato d'una serie di forze umane, sulle quali molto possono l'accidentalità e il caso e nulla è scritto a priori: crederlo può far comodo ma non è così.
L'ideologia del Principe di Salina si definisce nel corso del romanzo attraverso una serie di confronti con gli atteggiamenti espressi da altri personaggi.
IL PRINCIPE E L'IDEA MONARCHICA
Nel contrasto con le posizioni reazionarie del cognato Màlvica secondo il quale l'ordine sociale è un ordine conforme alle leggi della natura e di Dio, basato sulla proprietà e garantito dalla monarchia e dalla Chiesa, il principe ritiene che l'istituzione monarchica sia una opportunità storica, che garantisce la distinzione nobiliare e misura la sua efficacia sul modo in cui viene condotta e realizzata[footnote 1].
IL PRINCIPE, LA RELIGIONE, LA CHIESA
Nei confronti della religione e della Chiesa il suo atteggiamento è di rispetto e di osservanza formale: si tratta di istituti perenni, mentre l'arte del vivere riguarda il contingente[footnote 2]; per quanto riguarda l'influenza che la Chiesa ha secolarmente avuto, le attribuisce molte responsabiltà a proposito della situazione siciliana[footnote 3], pur riconoscendola come istituzione perenne; al contrario del suo ceto che deve scendere a patti con i liberali per far fronte a quella che gli pare "soltanto una lenta sostituzione di ceti".
IL PRINCIPE E L'ARISTOCRAZIA
Il principe appartiene alla nobiltà, per la quale nutre sentimenti complessi: mentre padre Pirrone nel colloquio con don Pietrino l'erbuario la giustifica come la immancabile e fatale portatrice di valori perenni (la distinzione), mentre don Ciccio Tumeo ne difende visceralmente e ingenuamente la funzione e i privilegi, il principe più razionalmente e laicamente fa i conti con la storia e viene a patti con la borghesia emergente (il matrimonio di Tancredi) o con lo stato nascente (il sì al Plebiscito), ma senza personali coinvolgimenti (rifiuta l'offerta di Chevalley). Tuttavia già nel colloquio con Russo nella prima parte del romanzo il principe mostra il suo scetticismo sui cambiamenti che si vanno annunciando ("Molte cose sarebbero avvenute, ma tutto sarebbe stato una commedia; una rumorosa, romantica commedia con qualche macchiolina di sangue sulla veste buffonesca"; pag.50). Stessa sfiducia nei cambiamenti esprime nel colloquio con Chevalley. Il principe dunque, pur rilevando che la società del suo tempo sta cambiando e pur facendo uno sforzo di opportunistico adeguamento, pare dirci che è solo la superficie delle cose a cambiare. L'immobilismo, malgrado le scelte contingenti, sembra il segno distintivo della visione del mondo del principe, a cui corrisponde, uguale e contrario, il comportamente di Tancredi, il cui spregiudicato pragmatismo appare il segno esteriore di un eguale scetticismo.
IL PRINCIPE E IL NUOVO STATO UNITARIO
Uno dei brani più significativi del romanzo è costituito dal
colloquio di Don Fabrizio con l'inviato piemontese. Ci troviamo qui al centro
dell' ideologia del personaggio: egli denuncia in modo accorato, a tratti
persino rabbioso, l'immobilismo della Sicilia ravvisandone le cause oltre
che nella sua storia, nel suo clima. Don Fabrizio non si rende conto delle
sue stesse contraddizioni: proprio lui desiderava che nulla cambiasse, "..ce
ne vorranno di Vittori Emanueli per mutare questa pozione magica che sempre
ci viene versata (pag.53)", aveva commentato mentalmente osservando il paesaggio
dalla sua finestra.
Ma per comprendere più a fondo il senso del discorso di Don Fabrizio
bisogna notare che in esso è la dimensione esistenziale a prevalere
su quella ideologica condizionandola, infatti spesso è la prospettiva
del personaggio e il suo dramma nel rapporto con il tempo e con la storia
a prevalere.
IL RUOLO DELL'AMORE NEL ROMANZO
L'amore non è fra i sentimenti terreni uno di quelli che più
interessano Lampedusa. Non lo troviamo mai nel Gattopardo come stimolo
e lievito dell'intelligenza; come passione costruttiva, feconda, arricchente,
anche se segnata dall'assurdità e dalla precarietà; come
tragedia.
Si direbbe che Lampedusa non lo annoveri fra le cose salienti, determinanti
della vita: senza assolutamente che ciò implichi una sua misoginia,
piuttosto il solito scettico e difensivo disincanto. Non è attraverso
l'amore che passa il destino dei personaggi, o se vi passa è perché
l'amore è strumentalizzato, più o meno coscientemente, al
raggiungimento di certi fini.
Sotto questo aspetto, non si trova nel Gattopardo nessuna eco della grande
letteratura ottocentesca: il narratore ottocentesco, pur conoscendo l'effimero
e ingannevole dell'amore, lo accetta come qualcosa di profondamente costruttivo
o distruttivo, ne fa di volta in volta il solco che segna la vita dei personaggi.
Invece Lampedusa riduce l'amore ai margini dell'esistenza, come un dato
inessenziale e poco incisivo.
L'amore nel Gattopardo può essere accensione dei sensi, inoperosa
romanticheria, convenzione, calcolo. L'eternità dell'amore dura pochi
giorni, lo dice l'autore stesso.
Diciamo che l'amore, per Lampedusa, si coglie unicamente nei due poli della
sensualità e dell'affetto: il che vale a dire che non esiste.
Molte pagine sono dedicate all'amore di Angelica e Tancredi. Don Fabrizio
ha compassione per la loro "passeggera cecità".
Esseri effimeri "che cercano di godere dell'esiguo raggio di luce accordato
loro fra le due tenebre, prima della culla, dopo gli ultimi strattoni"
(pag.266).
Quella di Angelica e Tancredi è l'unica vicenda d'amore di qualche
peso nel Gattopardo, per il resto, l'amore appare in rapidi accenni ed in
episodi insignificanti.
Non offre nessun interesse l'amore di Concetta per Tancredi, con relativo
sacrificio e acre coltivazione di memorie da parte della ragazza; meno ancora
l'amore svenevole, romantico e non ricambiato che per la stassa Concetta
nutre Cavriaghi, un nobile piemontese commilitone di Tancredi.
Non rientra nel quadro dell'amore la visita del principe della prostituta
Mariannina a Palermo. E' un puro sfogo di sensi: la moglie, Stella, non soddisfa
la sua vitalità.
Footnotes
1. "I re che incarnano un'idea non possono, non devono scendere per generazioni al di sotto di un certo livello; se no ... anche l'idea patisce"(pag.25).
2. "..in una realtà mobile.. alla Santa Chiesa è stata esplicitamente promessa l'immortalità, a noi, in quanto classe sociale, no...(pag.55)".
3. quando il principe arriva a Palermo per far visita a Mariannina, le osservazioni sono le seguenti: "..le sue case basse e serrate erano oppresse dalle smisurate moli dei conventi...di questi ve ne erano diecine, tutti immani... erano essi, i conventi, a conferire alla città la cupezza sua e il suo carattere, il suo decoro, ed insieme il senso di morte che neppure la frenetica luce siciliana riusciva mai a disperdere... ed era contro di essi che in realtà erano accesi i fuochi della montagna, attizzati del resto da uomini assai simili a quelli che nei conventi vivevano, fanatici come essi, chiusi come essi, come essi avidi di potere...(pag.35)".