Concetta Corbera: figlia del principe Fabrizio.

All'inizio del romanzo Concetta ci appare come una signorinetta orgogliosa e innamorata del cugino. Il padre intuisce i suoi sentimenti durante il pranzo, subito dopo la partenza di Tancredi: parlando di lui, sul volto della figlia nota una certa ansia.
Concetta riceve le attenzioni del conte milanese che accompagna il generale garibaldino, invitato da Tancredi alla villa per vederne gli affreschi; ma ella è preoccupata esclusivamente della "brutta cera" del cugino.
Nei confronti del padre ha una "perpetua sottomissione", piegandosi ad ogni manifestazione della volontà paterna. Ma un "bagliore ferrigno" brilla nei suoi occhi quando le bizzarrie alle quali ubbidisce sono davvero troppo vessatorie.
Non osa confessare al padre il proprio innamoramento per Tancredi e ne incarica padre Pirrone: le attenzioni, gli sguardi, le mezze parole del cugino l' hanno convinta a tale decisione. Non è lieto della notizia Don Fabrizio a cui sembra stare più a cuore il destino di Tancredi di quello della figlia: "timida, riservata, ritrosa, con tante virtù passive, sarebbe stata sempre la bella educanda che era adesso, una palla di piombo ai piedi del marito".
Durante il primo pranzo a Donnafugata Concetta sente che il cugino è attratto dalla bellezza di Angelica e spera che egli noti i suoi difetti, la sua differente educazione.
Quando il cugino racconta l'episodio dell'assalto ad un convento di clausura, Concetta, con le lacrime agli occhi, ha parole molto dure nei suoi confronti, quasi si sia ormai resa conto della rottura di ogni sentimento fra loro.
A Donnafugata Concetta incontra nuovamente il conte milanese Carlo Cavriaghi, che le rivolge molte attenzioni essendo innamorato di lei. Lei però delude le speranze amorose del conte. Tiene lo stesso atteggiamento gelido in occasione del ballo a casa Ponteleone, tanto da allontanare i giovanotti più cortesi.
Alla morte del padre è l'unica a non versare alcuna lacrima, risentita ancora di essere stata da lui sacrificata per il "bene" del "suo" Tancredi.
Assieme alle sorelle Caterina e Carolina diviene proprietaria della villa Salina e, dopo aspre lotte per l'egemonia della famiglia, assume il rango di padrona di casa.
E' ormai sulla settantina: "Nella persona di lei emergevano ancora i relitti di una passata bellezza: grassa e imponente nei suoi rigidi abiti di moire nera, portava i capelli bianchissimi rialzati sulla testa in modo da scoprirne la fronte quasi indenne; questo, insieme agli occhi sdegnosi e ad una contrazione astiosetta al di sopra del naso, le conferiva un aspetto autoritario quasi imperiale".
La visita di Tassoni, ospite di Angelica, le rivela che l'episodio dell'assalto al convento narrato da Tancredi è falso: comprende allora che il suo avvenire è stato ucciso dalla propria imprudenza, dal suo impeto rabbioso, caratteristico dei Salina. Ancora una volta riceve una grande delusione: le viene a mancare la consolazione di poter attribuire ad altri la propria infelicità. Perdono così di significato anche le lunghe ore passate "in saporosa degustazione di odio" dinanzi al ritratto del padre. Crede di scoprire qual è stato lo sbaglio commesso nei confronti di Tancredi, suo grandissimo e perduto amore: l'orgoglio che ha deciso della sua vita e l'ha consegnata ad una lunga esistenza di solitudine.
Si ritira così nella sua camera, che ora le sembra un mondo noto ma estraneo; chiama la cameriera e le ordina di portar via Bendicò, il cane imbalsamato, caro al padre. Anche lui "insinua ricordi amari".